L’anno che lentamente sta volgendo al termine ha portato con sé il consueto, rituale corollario di ricorrenze utili per ricordare personaggi ed eventi importanti della nostra storia nazionale. Tra questi, ha acquisito un suo importante ruolo il centenario della scomparsa del grande compositore lucchese Giacomo Puccini (Lucca 1858-Bruxelles 1924), tutt’ora uno dei più rappresentati nei teatri del mondo al pari di Verdi e Wagner.
Del Maestro lucchese si ricorda che non scrisse solo opere liriche ma anche musica strumentale e vocale, composizioni per orchestra e per quartetti d’archi, per organo e liriche per voce e piano. Va pure detto che le sue celeberrime opere liriche in realtà non furono tante, bensì solo 12 stupendi “melodrammi veristi”, come specificano giustamente i critici, che combattono e battono il tempo corrodente ogni cosa dato che girano ancora pimpanti e vivaci tra noi con imperituro favore e successo L’argomento, insomma, merita attenzione, rispetto e pare degno di approfondimento per cui noi arnisti siamo andati a cercare un esperto pucciniano che è ora qui di fronte pronto ad illuminarci.
Come dico sempre agli intervistati, si presenti da solo.
“Mi chiamo Maurizio Sessa e sono nato a Napoli il 27 febbraio 1958 sotto il segno dei Pesci: non ho appurato l’ascendente per mancanza di effettiva curiosità. Sono attualmente pensionato, ma sempre in attività come avido lettore e scrittore di libri. Per trent’anni ho lavorato come giornalista per il quotidiano “La Nazione” nelle redazioni di Firenze, Pisa e Prato. Ho conseguito la laurea in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze con piena consapevolezza che non avrei mai insegnato un bel niente a nessuno. Ritenendo, o illudendomi, di saper mettere tre parole in fila con un certo senso logico mi sono dedicato al giornalismo. Non so se è una scelta che rifarei”.
So che lei è un melomane esperto e appassionato di Puccini, quando e come è nata questa sua passione?
“La passione per il ‘maledetto toscano’ Giacomo Puccini – che, fra l’altro, dall’unica registrazione su disco della sua voce effettuata durante il suo primo soggiorno negli Stati Uniti nel 1907 sembra non avere una spiccata inflessione toscana – mi è nata all’età di 12 anni. Mio padre mi regalò un disco della ‘Tosca’ interpretata da Maria Callas: amore al primo ascolto. Un vero turbamento in tutti i sensi. Un amore travolgente, ma anche “divisivo” in famiglia: mia madre, ricordo bene, si lamentava con mio padre, rimproverandogli che per colpa del suo dono studiavo poco e niente. E mamma diceva pure che mi struggevo troppo ascoltando quella musica così avvolgente. Mio padre, annuendo, era molto più, diciamo, comprensivo, considerata la mia giovane età e annessi fremiti. Puccini, insomma, come nell’aria ‘Chi il bel sogno di Doretta’ de ‘La rondine’, fu rivelazione, fu la passione… Fu l’iniziazione alla sfera sentimentale”.
Un amore, il suo, che l’ha portata a scrivere un libro per questo centenario intitolato appunto “Puccini cent’anni. Viaggio sentimentale da Lucca al mondo” (Edizioni Medicea) che verrà presentato a breve…
“Sarà presentato mercoledì 27 novembre, a Firenze, a partire dalle ore 17, al cinema Sala Esse in via del Ghirlandaio 38. Un evento coordinato dal giornalista Alberto Andreotti, intitolato ‘Sulle note di Puccini… belle lettere, musica, teatro… emozioni olfattive’. Un omaggio organizzato dalla Libreria Gioberti di Firenze in collaborazione con l’Opera Salesiana di Firenze e Scandicci, Edizioni Medicea di Firenze, Associazione Profumi di Boboli, Foyer Amici della Lirica di Firenze, Compagnia Teatrale i Baccelloni. Dopo il saluto di Don Stefano Aspettati, direttore dell’Opera dei Salesiani, Ladislau Petru Horvat, direttore d’orchestra e primo violino del Maggio Musicale Fiorentino, eseguirà alcuni brani di Puccini. Caterina Ceccuti leggerà alcuni passi del mio libro, mentre Beatrice Granucci dell’associazione Profumi di Boboli presenterà un’essenza dedicata al Maestro Lucchese. Dopo gli interventi di Angelo Rizzone, direttore della Libreria Gioberti e di Antonio Palma, presidente del Foyer Amici della Lirica, gran finale con la compagnia teatrale I Baccelloni di Pietro Bongiovì che porterà in scena una riduzione di Gianni Schicchi”.
Quanto tempo ha impiegato per scrivere il libro e quali sono state le sue fonti principali?
“Ho impiegato oltre un anno e mezzo. Si consideri, però, che in concomitanza ho curato l’allestimento della mostra ‘La Nazione di Puccini. Immagini, luoghi e suggestioni di un compositore di genio’ per il quotidiano ‘La Nazione’ diretto da Agnese Pini. Mi sono dunque dovuto dividere su due fronti, lavorando giorno e notte, estate torrida 2024 compresa. Ma è stata, mi si consenta l’ossimoro, una vacanza molto faticosa. Le fonti principali del libro? La ricca biblioteca pucciniana di casa mia… Scherzi a parte, il punto di partenza è l’Epistolario di Puccini in corso di pubblicazione dal 2015. Una fonte primaria e ineludibile, davvero unica nel suo genere. Consiglio la sua lettura a tutti, pucciniani e no”.
Quali sono gli aspetti della personalità del maestro che tratta questa sua fatica letteraria?
“Il libro ha un’impostazione documentaria e si avvale dei principali apporti dei massimi studiosi in materia. Ha un taglio volutamente divulgativo. Si tratta di una lunga e dettagliata carrellata alla ricerca di aspetti meno noti dell’avvincente avventura artistica e umana di un genio musicale troppo a lungo “tenuto basso”, per molteplici motivi, dagli addetti ai lavori. Ma in compenso idolatrato dalle platee di tutto il mondo. Il libro punta l’attenzione sulla ‘ricezione’ internazional-popolare del maestro lucchese attraverso, per esempio, materiale apparentemente “minore” come cartoline e, addirittura, calendarietti profumati che i barbieri regalavano alla affezionata clientela. Oggi abbiamo una percezione molto parziale dell’immensa popolarità raggiunta da Puccini in vita. L’autore di dodici opere liriche Patrimonio dell’Umanità fu davvero un divo prima del divismo che accompagnò l’avvento dell’industria cinematografica”.
Per quale motivo le opere pucciniane sono ancora così attuali da essere rappresentare in tutto il mondo?
“Puccini, piaccia o no, è saldamente in vetta alle classifiche. È compositore che fa sold-out. I motivi? In un periodo caratterizzato dal predominio del colossale verbo mitologico di Wagner, Giacomo Puccini, quinta generazione di una rinomata famiglia di musici lucchesi, scelse di restare sulla terra, di musicare i “grandi dolori in piccole anime”. I dolori della gente comune. I nostri dolori. Le opere di Giuseppe Verdi rappresentano la colonna sonora della nostra epopea risorgimentale. Le opere di Puccini risentirono inevitabilmente – nessuno può estraniarsi completamente dalla propria epoca – dei costumi, delle idee, dell’arte e della politica del suo tempo, della cosiddetta Italia umbertina, insomma. L’età del trapasso dalla nascita al consolidamento di una nazione giovane, della patria per tanto tempo “sì bella e perduta…” . Di quella Italia che lasciatasi alle spalle la gloriosa stagione della poesia si incamminò sulla mesta via della prosa. Una prosa, disincantata e problematica, che ancora ci appartiene”.
Quali sono i tratti distintivi delle opere del grande compositore lucchese dal punto di vista musicale che le hanno rese immortali?
“Domanda difficile per chi come me, purtroppo, non è un musicologo. Io ho una impostazione di storico. Quindi posso solo azzardarmi a dire che Puccini riuscì e riesce tuttora a toccare le corde più intime della nostra sensibilità. Un musicista la cui cifra stilistica non conosce confini. Proprio per questa sua capacità davvero unica fu fatto bersaglio di feroci critiche. Si pensi a quella celeberrima emessa da Fausto Torrefranca nel 1912. Per lui Puccini altro non era che un musicista internazionale che assecondava gli istinti musicali più bassi del pubblico per fare cassetta, per meri fini commerciali. E ancora, nel 1956, a due anni dalle celebrazioni per il centenario della nascita, un musicologo statunitense affermò che la musicalità di Puccini era assimilabile a quella delle canzoni da caffè-concerto. Incredibile, ma vero… Scripta manent”.
E quali sono, invece, gli aspetti poetici più ricorrenti nei melodrammi pucciniani?
“La caratteristica principale dell’universo pucciniano è quello della femminilità. L’eterno femminino che diventa protagonista. Le donne di Puccini sono in genere giovani ragazze fuori dagli schemi. Fanciulle in fiore, per dirla con Proust, che amano incondizionatamente. E che alla fine “pagano” per il loro amore. Un’ottica che rispondeva al maschilismo imperante dell’epoca? Forse che sì, forse che no. È un argomento che andrebbe analizzato più a fondo, anche e soprattutto alla luce di un’invadente ‘Cancel Culture’ a mio avviso completamente fuori luogo e fuori contesto storico. Una tendenza che recentemente si è abbattuta anche su Puccini. Ma il Maestro Lucchese cittadino del mondo già in passato ha resistito a ben altre dure prove, a ben altri assalti”.
Quali sono stati i lati più luminosi e quelli un poco più oscuri della personalità pucciniana?
“Puccini ancora oggi è troppo spesso mummificato in una sorta di ‘santino’, complice una perdurante pubblicistica che si compiace di tramandare aneddoti che di rado trovano riscontri effettivi nei documenti di cui finalmente disponiamo. Si tenga conto poi del fatto che i primi biografi di Puccini furono quasi tutti suoi intimi amici e ferventi ammiratori, che tendevano a dare di lui un’immagine tutta positiva, tutta rilucente, che celava ad arte le ombre che pure avvolsero la sua esistenza; esistenza molto più travagliata di quanto comunemente si creda. A prestar fede alla vulgata più rassicurante e protettiva si dovrebbe credere a un Puccini organista di chiesa mancato che, per quanto dotato di indubbie qualità, aveva avuto una bella botta di fortuna per arrivare così in alto nel pantheon del melodramma. Questo il rischio che si corre ad assecondare questa chiave interpretativa riduttiva e agiografica. La presenza di Puccini nella cultura italiana e internazionale merita invece un’impostazione critica seria e competente. Soprattutto documentata. Il tempo della mera “coloratura” pucciniana sarebbe opportuno archiviarlo”.
Qual è stato, per lei, il rapporto di Puccini con le donne sulla scena e nella vita di cui tanto si è parlato?
“Un rapporto molto complesso. Nella vita come nell’arte. La ricerca del libretto giusto, per esempio, fu motivo di perenne insoddisfazione. Conflittuale fu il rapporto con la compagna e poi moglie Elvira Bonturi. La loro unione, dopo la loro fuga d’amore, a Lucca, città dalle cento chiese, creò enorme scandalo. Elvira era donna sposata e madre di due figli. Puccini non se ne dimenticò mai anche quando il loro rapporto andò incontro, e non solo una volta, a grave crisi. Puccini ebbe varie amanti, è vero, ma non si separò mai da Evira, non si staccò da lei tranne che per pochi mesi, nemmeno dopo il suicidio della cameriera Doria Manfredi, accusata da Elvira di essere l’amante di Giacomo sulla pubblica piazza tanto da indurla al gesto estremo di togliersi la vita. La fine di Doria segnò per Giacomo Puccini il momento più drammatico della sua vita. Una giovane donna che si sacrifica per la crudeltà di una donna matura gelosa. Un ottimo soggetto per un’opera lirica, genere dove ogni dramma è un falso per dirla con “Caruso” di Lucio Dalla. Stavolta il dramma non era un falso, bensì realtà vera. Una tragedia che scavò profondamente nell’animo di Puccini”.
Dopo aver ben esaminato le sue gesta terrene come definirebbe Puccini?
“Direi che è stato un grande incompreso. Un uomo, un artista, il cui ‘sottosuolo’, il cui lato oscuro, è tutto da scandagliare in profondità. La personalità di Puccini oscillava dalla profonda malinconia all’euforia più smaccata e imprevedibile. Come spesso capita ai malinconici, Puccini era dotato di notevole senso dell’ironia. Talvolta piuttosto grossolana. Ad amici e parenti affibbiava nomignoli pieni di sarcasmo. Ramelde, la sorella prediletta, più piccola di lui di due anni, era soprannominata ‘trogolo’. Il marito di Ramelde, proprietario di vigneti, per Puccini, ma solo quando era di buona, diventava benevolmente ‘Vino’. Altrimenti gli epiteti erano di ben altro tenore. Nelle linee essenziali la parabola artistica di Puccini è ormai delineata. Il suo privato, invece, potrebbe riservare sorprese. Puccini, del resto, non ha scritto un’autobiografia: era troppo impegnato a vivere, a fare teatro di musica per pensare ad eternarsi. Un divo della porta accanto, privo di megalomania”.
Sarebbe interessante, a questo punto, saperne di più della mostra che ha curato cui accennava prima. Ce la può brevemente illustrare?
“Sì, come accennato, ho curato la mostra “La Nazione di Puccini: immagini, luoghi e suggestioni di un compositore di genio”. Occuparmi del “mio Puccini” per il giornale in cui si è svolta tutta la mia trentennale carriera giornalistica ritengo sia stata una grande soddisfazione. La mostra, attraverso rari documenti in gran parte inediti, racconta lo stretto rapporto tra un giornale storico come “La Nazione, uscito a partire dal 19 luglio 1859 ? e dopo 165 di storia è ancora in edicola ? e Giacomo Puccini nato pochi mesi prima, il 22 dicembre 1858. Solo per pochi mesi non si trattò di un “parto gemellare”. Trentasei pannelli tutti da guardare e da leggere”.
La mostra dove andrà nei prossimi mesi?
“Da metà novembre andrà ‘a casa’ del cantore di Mimì e di Liù, ovverosia a Lucca, al Teatro Comunale del Giglio. Poi sarà la volta di Firenze e altre località della Toscana, il cui allestimento è in allestimento è in corso di programmazione”.
Qual è una memorabile e significativa frase tratta dalle opere pucciniane,a parte la abusata “all’alba vincerò”, a lei particolarmente cara, con la quale potremmo salutarci?
“Il ragazzino dodicenne Maurizio Sessa si innamorò subito dell’aria “Vissi d’arte vissi d’amore” dalla ‘Tosca’. E a quell’amore è rimasto fedele. Forse…”
L’incontro con questo preparato e sensibile autore filo-pucciniano mi esalta e mi motiva per andare ancor più dentro il mondo del creatore di figure leggendarie e immortali come Mimì, Tosca e Butterfly figlie della grande ispirazione. Di conseguenza non posso non concludere con una definizione di Puccini proprio su su quella ispirazione che lui definisce un”“risveglio, una fuga da tutte le facoltà umane, e si manifesta in tutte le grandi conquiste artistiche”. È grazie a lei se queste figure continuano a stare con noi rallegrando la nostra vita e permettendoci pure di sopportare al meglio gli affanni quotidiani. Grazie!
Guido Martinelli