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Quando Puccini andava a caccia tra Bolgheri e Capalbio

- Cultura
28 Settembre 2024

È stato ristampato un interessante libro di Maurizio Sessa dal titolo “Andrò nelle maremme”. Puccini a caccia tra Bolgheri e Capalbio (Maria Pacini Fazzi Editore, 25 euro), dopo la prima edizione uscita nel 2019 andata esaurita. Il volume, che torna in libreria nell’anno del centenario di Giacomo Puccini, trae origine dall’analisi delle lettere del Maestro a due cari amici, Giuseppe “Beppino” della Gherardesca e Piero Antinori.

Si parla di caccia, dunque, dal cinghiale alle folaghe, ma nelle missive ci sono tante altre chicche, compresi i viaggi in Sud America e Stati Uniti. Nel libro Sessa va alla scoperta (o riscoperta) del Puccini più vicino al vero. Un’occasione succulenta per rivivere quasi in presa diretta i  trionfi e  i “fiaschi” (ci sono stati anche quelli), le gioie e i dolori, gli amori e i dissapori di un artista che, con le sue opere, estasiava il pubblico. Le lettere ci parlano delle sue ascese e delle sue cadute non solo artistiche ma anche umane.

Sessa ci propone un avvincente “romanzo” epistolare che si snoda lungo 360 pagine suddivise in due parti. Nella prima l’autore ripercorre le orme della presenza di Puccini in Maremma, o meglio nelle due Maremme, quella Grossetana e quella all’epoca cosiddetta Pisana. A Capalbio, a partire dal dicembre del 1896, il compositore fu ospite nel Castello di Marco e Maria Collacchioni, proprietari del latifondo dove fino a pochi giorni prima aveva imperversato il leggendario brigante Domenico Tiburzi, e del lago di Burano. Qui il Maestro entrò a far parte di un gruppetto di nobili, che, tolti gli abiti eleganti, non vedevano l’ora di indossare la pelliccia maremmana per andare a caccia. Un rito al quale partecipava, secondo tradizionale usanza, l’intera comunità capalbiese.

Bolgheri vide più volte Puccini, già dall’ottobre del 1896, ospite dei conti della Gherardesca. Diverse volte, col fucile in spalla percorse il viale con “i cipressi che a Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar”, reso immortale da Carducci. Nel 1904, inoltre, il Maestro intrecciò una salda amicizia con il più giovane conte Giuseppe della Gherardesca, da lui subito affettuosamente ribattezzato “Beppino”.
Un’amicizia destinata a durare sino agli ultimi giorni di Puccini.

Nella seconda parte del libro, invece, l’autore riproduce la trascrizione delle 161 missive inviate da Puccini ai suoi due aristocratici amici, grandissimi amanti della caccia. Due lettere si impongono all’attenzione del
lettore e degli esperti. Entrambe del febbraio 1909, spedite da Roma all’indomani del tragico episodio che segnò per sempre l’esistenza di Puccini: il suicidio della giovane cameriera Doria Manfredi, accusata da Elvira Puccini di essere l’amante di Giacomo.

Foto in alto: Wikipedia

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