Se non si trovasse il modo di riflettere sul senso e la profondità della nostra vita e dei nostri gesti  con la poesia l’umano passaggio terreno perderebbe di senso.  Pensiero che emerge leggendo il libro di poesie “Relicta” Ed. Macabor di Francavilla Marittima (Cs), scritto da Benedetto Maggio (nella foto in alto a destra). Ingegnere civile, leccese, vive e lavora a Pisa. Ha già pubblicato con Kemerik “La lunga attesa”, la sua prima raccolta di poesie.

L’ingegner Franco Donatini (nella foto a sinistra), critico di vaglia, che ha presentato l’opera e l’autore sia nel libro che a voce il giorno della sua presentazione ufficiale, ce ne parla così.

Conoscevo Benedetto sin dalla prima silloge di cui ho scritto la prefazione, e trovo che la sua poesia si muova nel solco della tradizione presentandosi, sul piano prosodico, in modo veramente completo. Ci sono immagini, figure retoriche non frequenti ma bene azzeccate, attua anche una versificazione che trasferisce lo stato d’animo del poeta nei versi in maniera esemplare usando un linguaggio aulico ma intenso. Sul piano del significato ci sono elementi forti e la sua poesia introspettiva ha una visione filosofica che si sviluppa sempre, soprattutto nelle parti finali delle sillogi, in modo da offrire una sua visione della vita, del mondo, del presente e del futuro. Come dicevo, questa poesia si muove nella tradizione ma è moderna per la tipologia dei soggetti e della struttura che ritengo completa”.

Dopo il giudizio del competente ingegnere letterato, vero ossimoro vivente,  sono andato a conferire direttamente con l’autore, che mi pare condividere col professor Donatini, non a caso suo relatore, una mente sviluppata sia in ambito scientifico che linguistico.

Signor Maggio, quando è iniziata la sua esperienza poetica?
“Da giovanissimo, quando avevo dodici anni circa, m’ispiravo ai poeti che incontravo a scuola, a partire dai classici come l’Iliade, l’Odissea, la Divina Commedia, scimmiottandoli praticamente in maniera giocosa e caricaturale. In età adolescenziale si è successivamente sviluppata una vena più intimistica legata alla poesia del Novecento”.

Quando è nato il suo estro poetico e com’è nata la sua seconda opera?
“Le poesie le ho scritte sin da giovane, ma le ho tenute nel cassetto per tanti anni e soltanto alla veneranda età di 55 anni le ho fatte uscire all’esterno nella mia prima fatica letteraria. In quest’opera successiva, invece, ho inserito poesie scritte in questi ultimi cinque anni della mia vita”.

Quali sono i temi prevalenti della sua poetica?
“La natura, la vita, il contrasto tra la vita e la morte, il tempo che passa.”

I suoi poeti di riferimento?
“Soprattutto quelli che si studiano a scuola: Dante, Manzoni, Pascoli, Carducci”.

Qual è il suo stato d’animo prevalente nel momento della scrittura poetica?
“Nostalgico, pensoso, per certi versi malinconico, ma quando quest’ultimo stato emotivo è eccessivo non credo giovi alla poesia che ha bisogno di luce e ombra, per cui è sempre necessario uno spiraglio di luce in fondo ad uno stato d’animo un po’ negativo”.

Per concludere, la poesia cambierà il mondo?
“Io non credo, però sicuramente lo aiuta a specchiarsi nella parte migliore di sé.”

Grazie e buon lavoro!

Le ultime parole non possono quindi non essere che  i primi sei versi tratti dal “Il frullo del passero” in cui Benedetto Maggio accenna proprio alla poesia.

Il frullo del passero

Non cercare mai la poesia
perché Lei non lo vuole.
Non ama i cercatori, non ama i seduttori
fugge da spasimanti egoisti che l’incalzano
per rubarle una nota, un’istantanea,
e posare con Lei.

Belli, bravo!

Guido Martinelli

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