Inizio una serie d’incontri letterari con autori locali, importanti e debuttanti. Il primo che vado ad incontrare, nuovamente, è Pierantonio Pardi, in occasione della presentazione del suo nuovo libro. È un autore conosciuto non solo in ambito locale dato che alcuni suoi racconti sono stati inseriti persino in antologie per la scuola media a diffusione nazionale, e anche per questo ritengo doveroso importunarlo ogni tanto.

Allora, Pierantonio Pardi, ci parli del suo nuovo libro, “Bailamme: metastoria fabulosa”, edizioni Porto Seguro. Partiamo da lontano. Quanti libri ha pubblicato prima di questo?
“Bailamme” è stato in assoluto il primo, ed è del 1983.

Quindi, questa è una ristampa…
“Sì, è una ristampa. Oddio, per la precisione c’è stato prima “Testimone il vino”, stampato nel 1975 dalla Lito Felici, in origine una litografia prima di diventare una casa editrice, che forse stamperò nuovamente. Dopo, ci sono stati, con l’Ets: “Cicli e tricicli” nel 2002; “Graaande..prof” nel 2009 e il ”Il baffo e la bestia” nel 2021. Sempre con l’Ets dirigo, con Daniele Luti, la collana “Incipit”. Insieme con altri autori ho pubblicato “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo di Arianna”(ets,1999) con Alessandro Scarpellini e Susanna Nugnes, un testo di scrittura creativa adottato anche all’Università. Hanno visto la luce anche diversi racconti gialli nelle raccolte di Renzo Zucchini”.

Con Daniele Luti, dunque, dirigete la collana “Incipit” dell’Ets.
“Sì, dal 2002, è una collana molto selettiva per cui editiamo solo due libri l’anno, siamo arrivati a circa 25-26 titoli”.

Quando e dove presenterà Bailamme?
“Verrà presentato Venerdì 9, alle 18, alla Feltrinelli di Corso Italia, da Daniele Luti, Massimiliano Antonucci e Franco Donatini; mentre alcuni brani saranno letti dagli attori Letizia Pardi, mia sorella, e Fabrizio Cassanelli”.

Ce li presenti…
“Daniele Luti non ha bisogno di presentazioni, è il mio socio e compare di Incipit come dicevo, professore, critico letterario, autore di saggi; Massimiliano Antonucci è un poeta che ha pubblicato varie raccolte; Franco Donatini professore universitario, ingegnere che da tempo si occupa di letteratura e, tra l’altro, ha pubblicato molte biografie di pittori legate ad esposizioni di Palazzo Blu, ultimamente ha scritto pure raccolte di poesie e gestisce un salotto letterario a Montecarlo di Lucca, “Le Sughere”, dove presenta autori. Invece, gli attori, Letizia Pardi e Fabrizio Cassanelli, sono stati i fondatori del Teatro “Politeama” di Cascina fino a pochi anni fa quando sono andati in pensione.

Direi, quindi, che sarà circondato da un parterre de roi per questa nuova edizione di Bailamme, una parola che significa?
“Confusione, caos totale”.

Metastoria fabulosa perché?
“Perché è una storia va al di là, che trascende la storia, oppure in altra accezione è una storia che mantiene i suoi connotati nonostante la storia vera, quella più importante, vada avanti lo stesso. È un romanzo che ho voluto ristampare perché l’ho trovato molto attuale nelle tematiche”.

Perché Fabulosa?
“Nel senso di meravigliosa, stupefacente”.

Come partorì, a suo tempo, l’idea di scrivere questo libro?
“Quando l’ho scritto ero molto influenzato dalla neoavanguardia del “Gruppo ‘63” che praticamente teorizzava, con Manganelli, Umberto Eco, Balestrini, Vassalli, Malerba, la fine del romanzo tradizionale. Loro ce l’avevano con Bassani, Cassola, Pratolini che definivano ironicamente “le nuove liale”, dal nome della scrittrice di romanzi rosa. Ero molto attratto da questa neoavanguardia e mi ritrovavo, nel 1983, come Arturo Bandini, il personaggio di John Fante, nel romanzo “Chiedi alla polvere”, che voleva scrivere un romanzo e diventare ricco e famoso. Lui scrisse solo un raccontino, “Il cagnolino rise”, che esibiva perché l’aveva pubblicato su una rivista. Anch’io, come lui, volevo scrivere un romanzo per diventare ricco e famoso: questa fu l’idea di partenza. Scelsi, però, uno dei periodo tra i più sbagliati perché gli anni ‘80 videro la nascita di: “Il nome della rosa” di Umberto Eco, “Atti libertini” di Pier Vittorio Tordelli, ”Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Calvino, “Il gioco del rovescio” di Tabucchi: dei capolavori. Allora mi dissi che volevo resuscitare la neoavanguardia scrivendo un romanzo in cui non ci fosse la trama, la storia, niente. Quindi iniziai affidandomi solo alle parole, però poi le parole, in amplificazione anche di tipo nevrotico, cominciarono a costruire una storia. Paradossalmente, come la neovanguardia finì perché tutti smisero di scrivere romanzi sperimentali quando si accorsero che non li leggeva nessuno, anch’io mi resi conto, scrivendo, di allontanarmi dagli schemi avanguardisti. La storia di questi personaggi, Chuba, Ibis, Gl, Lilith e Gilda, era infatti giocata sulle parole, sul sesso, e soprattutto sulla comunicazione, quindi su un cortocircuito comunicativo di tante storie che alla fine ricalca un po’ la storia del Decameron. Qui ci sono quattro individui che si isolano in una villa lontana dalla società civile. Nell’opera di Boccaccio, come si sa, ci sono dieci ragazzi che per la peste si isolano in una villa a raccontarsi storie. L’isolamento a cui si prestano questi personaggi del mio libro è del tutto concettuale. È un esilio concettuale. Loro sono tutti abbastanza ricchi, molto colti. Però, quello che colpisce in questo romanzo è l’assoluta mancanza di passione, perché c’è molto sesso, ma non è un sesso che ispira la lussuria. Il mio libro l’ho definito pornografico perché questi personaggi si accoppiano quasi continuamente, in maniera quasi nevrotica, diventano atleti dell’eros, autori di perfomances fini a se stesse, non c’è passione, non c’è sentimento. L’unica passione, l’unico innamoramento è di Gilda che, però, s’innamora di un cinghiale. Ricalcando le orme di Pasifae, moglie di Minosse, che s’innamorò di un toro, una donna senza dubbio discutibile dal punto di vista delle scelte erotiche”.

L’attualità dell’opera è data dalla presenza del cinghiale dato che si leggono notizie di cinghiali che, persino nelle grandi città come Roma, assalgono le persone?
“Quello no, perché quando lo scrissi i cinghiali non c’erano ancora in giro in così gran numero come ai nostri giorni”.

E allora?
“L’opera è attuale perché vi si teorizza la morte del romanzo e la fine della coppia, anche se poi, alla fine, questi personaggi si renderanno conto dell’inutilità di questa esperienza attraverso i monologhi. Uno morirà durante un monologo strozzato dalle parole. Poi ci sarà una grande festa con un’orgia collettiva dove ci saranno un frate, una soubrette stupida che crede che Rosa Luxemburg sia ancora viva, le dicono che verrà alla festa così lei è tutta contenta perché finalmente potrà conoscerla. C’è Pelagio, che invece impersonifica il movimento del ’68, studente che ideologizza tutto e il cui apparato ideologico verrà messo in crisi da questi che hanno vissuto esperienze politiche precedenti. C’è tanta, tanta, tanta letteratura, tanta politica, tanta morale, sesso: un po’ di tutto. Ma soprattutto, e questo è forse l’unico motivo per cui ho deciso di pubblicarlo, c’è questa sorta di scrittura quasi automatica, questa velocità, anche una certa crudeltà lessicale, che non sono più riuscito ad avere in altri romanzi. Potrei concludere dicendo che, partendo senza una storia, sono le parole che hanno dominato la scena e hanno creato la storia. Insomma, il paradosso è stato che, partendo senza storia, le parole l’hanno vomitata, partorita”.

Dal punto di vista storico l’attualità è determinata dal fatto che forse anche oggi il romanzo classico è in crisi e avrebbe bisogno di una rivisitazione?
“Secondo me sì. Non ci sono più grandi romanzi. Ho letto i tre finalisti dell’ultimo Premio Strega e mi sono parsi romanzi generazionali. Raccontano, sotto diversi aspetti, dei percorsi di formazione, anche interessanti e scritti bene, ma che non ti prendono, non ti coinvolgono molto. Così, ogni volta che finisco la lettura dei romanzi di quelli che io chiamo “i viventi”, mi rifaccio leggendo gli scritti di John Fante, Bukowski. I personaggi di “Bailamme” ricordano molto Bukowski e De Sade, perché c’è pure del sadomasochismo”.

Non manca nulla…
“No, ma voglio specificare che non è un libro per tutti. È rigorosamente vietato ai minori di diciotto anni. Quando finii di scriverlo un mio amico, dopo averlo letto, mi chiese quali sostanze allotrope avessi assunto durante la scrittura del romanzo. Gli risposi che se tra queste sostanze è compreso anche il vino ci sta che ci fossero”.

Potremmo definirlo, allora, un romanzo ad alto tasso alcolico…
“Volendo. Tra l’altro, l’incipit avviene in questa osteria in cui il Gobbo, venditore di anemoni, entra e dice che racconterà una storia, ma in verità, in questo romanzo, non si beve molto. Me ne sono accorto dopo. Se lo riscrivessi li farei bere tutti di più”.

Da quel che ha detto pare un’esperienza fine a se stessa che non ha avuto un seguito o sbaglio?
“Non ha avuto un seguito. Lo feci leggere a Tabucchi, a Vecchiano. Lui fu il primo che lo lesse, odiava l’avanguardia e mi disse: ”È scritto benissimo, hai un certo virtuosismo lessicale, però io, una storia ce la creerei comunque. È sfuggente, non andrà molto lontano”.

Quale casa editrice la pubblicò per prima?
“La Lalli di Poggibonsi, una casa editrice abbastanza grossa”.

Altri lo lessero oltre Tabucchi?
“Il libro piacque, invece, a Walter Siti, che scrisse l’introduzione, e mi disse: ”Ma che avanguardia, questi personaggi sembrano usciti da uno stage delle scuole medie”. A lui ricordava il libro “ Ricordi di una telegrafista” di Vita Jasmare, nom de plume di Clotilde Scannabissi, nata a Budrio nella seconda metà dell’Ottocento, il cui pseudonimo era frutto dell’anagramma del nome del marito: Tomaso Samaritani. Lei faceva la telegrafista di giorno mentre di notte si vestiva di sciantosa e andava nei locali. Personaggio reale, esistito”.

Aveva una sorta di doppia vita.
“Sì, e Siti forse ci vide una doppia vita dell’autore, che magari descriveva situazioni diverse da quelle che viveva”.

Non ha provato a mandarlo a case editrici anche più importanti?
“Assolutamente no, anche perché negli anni Ottanta, come adesso, c’è una specie di mafia editoriale molto circoscritta. Tu puoi scrivere un capolavoro assoluto ma se non riesci a farlo leggere, perché il problema nel riuscire a farlo leggere a chi conta, non vedrà mai la luce. Basti pensare a Proust, la cui Recherche fu rifiutata da Gallimard. A Svevo che le sue opere se le è autopubblicate.

Ricordo Pennacchi che diceva di essere riuscito a farsi pubblicare quel suo libro che ebbe un grande successo “Canale Mussolini”, dopo una cinquantina di rifiuti.
“Per questa occasione ho scelto di pubblicare con Porto Seguro, una casa editrice nuova, molto attiva in varie città (Bologna, Roma, Milano, Napoli) e in rete, e quindi con una grande diffusione e disponibilità. Per una ristampa mi pareva la più adatta. Lavorano molto bene anche a livello grafico. Chiaramente è tutto gratuito. Comunque, ora, tutte le case editrici serie pubblicano gratuitamente”.

So, per esperienza diretta, che, però, ce ne sono sempre alcune che richiedono persino migliaia di euro per una pubblicazione.
“Non va bene. Per questo libro ho abbandonato la mia casa editrice storica, ovvero l’Ets, con cui, però, prossimamente pubblicherò un libro di racconti: “Erotiche alchimie”. È un’anticipazione”.

Quindi, continuerà sul filone erotico?
“Sì, ma non anticipo niente. È troppo presto”.

Chi volesse acquistare “Bailamme” dove può andare?
“Alla Feltrinelli, perché da sempre ho fatto questa scelta di mettere in vendita i miei libri lì. Alcune copie, però, si possono trovare anche dal mio amico Enrico Stampacchia presso la libreria Erasmus di Piazza Cavallotti.

Bene, grazie dell’interessante chiacchierata e auguri per Bailamme e il resto.
Che è sempre e soltanto Letteratura, ovvero quella cosa che, per dirla alla Oscar Wilde, “precede sempre la vita, non la copia, ma la plasma a suo uso”.

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