Guido Martinelli

Scoprii che esisteva la squadra di calcio del Pisa alle elementari, nel cortile delle Oberdan, in una mattina assolata di fine quarta o quinta. Mi avvicinò, nello stesso identico modo che adotta anche ora quando lo incontro, il mio compagno Fabrizio: “Guido, lo sai che il Pisa è andato in serie B? L’anno prossimo bisogna andare tutti allo stadio”. Non m’ero mai posto il problema fino ad allora, l’informazione in quegli anni non era invasiva come adesso.

Conoscevo e tifavo la Juventus perché un pomeriggio di giugno dei miei sei/sette anni la porta della mia dirimpettaia, nella corte dove abitavamo da poco, si aprì di botto vomitando l’allampanato e incravattato giovane di casa che imbracciava una radiolina e tutto agitato mi intimò di tifare Juventus, campione d’Italia da pochi minuti, perché “vince sempre”. Ero figlio di caramba, uso ad ubbidir tacendo, e seguii senza fiatare i due consigli.

Quando riprese il campionato mi feci accompagnare da babbo allo stadio, che col tesserino da semplice appuntato entrava gratis dovunque, anche se per lui lo sport era materia oscura.
Appena entrai nell’Arena il boato della folla mi colpì come un pugno al petto, e fu amore a prima vista.

Mi divertivano le espressioni colorite dei tifosi, le parolacce e le bestemmie cui non ero abituato mi provocavano sollucchero; ma soprattutto mi piaceva questa sensazione di comunanza, di solidarietà, unione.

Rammento il primo goal che vidi segnare dai neroazzurri: un colpo di testa del terzino Petrelli, anche se non saprei dire contro chi, vicino a me, che stavo attaccato alla rete a pochi metri dalla bandierina dalla parte della Nord.

Crescendo ci sono tornato innumerevoli volte, con amici e persino da solo. Ma devo confessare che non sono mai stato un ultras, né un frequentatore abituale. Bensì intermittente, come in tante altre mie cose. Oddio, un po’ mi sono impegnato perché, nei secoli, sono stato abbonato ben quattro volte, l’ultima prima del lockdown. Ma l’ho sempre seguito sui giornali, in radio e in tivu.

Ci sono stati campionati in cui sono stato latitante per tutte le partite pur conoscendo, a distanza, giocatori e problematiche varie.

Sono stato poche volte in trasferta, ma ero nella trionfale piazza di Pagani l’anno che ritornammo in B con Romeo e pure nella tragica Bergamo dove l’Albinoleffe ci sbarrò la strada della promozione. A sedici anni andammo in tre a Spezia per uno scialbo 0-0 condito, al ritorno, da una fitta sassaiola degli spezzini che ruppe persino qualche finestrino del treno provocandoci paura e sgomento.

Quasi come quella volta, contro il Catania, quando scoppiarono dei tafferugli tra opposte tifoserie e la polizia tirò lacrimogeni facendoci fuggire dalla Nord, e spinti dalla disperazione alcuni aprirono un buco nella rete che separava la curva dalla gradinata e con le lacrime che scendevano a frotte ci mettemmo in salvo vincendo alla fine 2-1 con gol finale di Cantarutti.

Sono immagini che emergono, libere e selvagge, a volo d’uccello, insieme ad altre più belle come quelle delle promozioni, sia in B che in A, o delle esaltanti vittorie di quella stupenda squadra di Ventura che giocava come forse solo in paradiso.

Certamente, in tutti questi anni, ci sono stati anni in cui le cose della vita, tipo la mia inquieta tarda adolescenza o gli inevitabili dolori familiari successivi, mi hanno un po’ distratto, ma ora che stiamo per lottare per ritornare in serie A sono di nuovo su di giri. O almeno lo nascondo per scaramanzia.

Grazie al Pisa ho risolto i miei dubbi identitari dal punto di vista civico provenienti dal mio trasferimento sotto la torre all’età di tre anni con genitori che non sono mai riusciti ad integrarsi e, bontà loro, sono sempre rimasti garfagnini, che non è una brutta condizione, anzi.

Insomma, grazie alla pelota ho cominciato a sentirmi pienamente pisano, anche se resto un mezzosangue critico e tutto sommato felice di esserlo anche se la mia costante attitudine alla perenne criticità mi pare molto “pisese“, e di fondo mi sento un cittadino del mondo.

Nei confronti della Juventus mi sento un tifoso, ma verso il Pisa avverto un sentimento diverso, viscerale, e più di un tifoso mi sento un… “patriota”! Qualcosa che va al di là del calcio e si spinge lontano nel tempo, nei secoli in cui Pisa dominava il Mediterraneo.

Purtroppo è solo calcio, che non cambia più di tanto la vita di noi abitanti questo stupendo gioiellino in cui consumiamo il nostro tempo ormai lontani dai remoti splendori, ma è sempre meglio di un picchio in faccia.

Orsù neroblu, ciancio alle bande, siamo tutti con voi. All’attacco, e che la gloria ci arrida! FORZA MAGICO PISA,VINCI PER NOI!

 

Foto: Gabriele Masotti

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