61 views 16 min 0 Commenti

“Dante va alla guerra” e non solo. Marco Azzurini e il teatro di parola

- Cultura, Interviste
25 Aprile 2022

Guido Martinelli

Meglio soli che male accompagnati? La risposta a questo antico detto popolare, almeno per ciò che riguarda l’ambito teatrale, l’apprezzato attore pisano Marco Azzurrini l’ha già ampiamente data da anni con quei suoi monologhi teatrali con cui riesce ad avere un gran seguito non solo in ambito locale. Essendomi deliziato tutte le volte che ho avuto la fortuna di vederlo in scena l’ho cercato per scambiare con lui alcune opinioni al riguardo.

Buonasera Marco e, come dico sempre (dicendo che lo dico sempre), si presenti…

“Sono Marco Azzurrini, attore ed autore. Ho iniziato ormai anni e anni fa, negli anni 80, col Teatro “Sant’Andrea” di Pisa e ho sempre collaborato con quel teatro che, come tutti sanno, si trova nella chiesa sconsacrata adibita a teatro, vicino al più grande Teatro Verdi, in via Palestro. Per diverso tempo ho collaborato con “I Sacchi di Sabbia”, un gruppo teatrale importante e conosciuto anche a livello nazionale, che operava e opera tuttora all’interno del teatro Sant’Andrea. Praticamente, fino a circa dodici-tredici anni fa, la mia attività è stata sostanzialmente quella di attore e cabarettista in produzioni dei “Sacchi di Sabbia”. Poi, per vari motivi personali e artistici, ho cominciato ad avere il “mio” teatro. È emersa, insomma, la mia volontà di scrivere delle storie, legate al territorio, nell’ambito di quella che ora viene chiamata “narrazione”. Praticamente un teatro di racconto, di memoria. La mia è una cifra comica perché comunque vengo da un teatro comico e veicolo il mio teatro con questa matrice. Però il valore del mio teatro è sempre stato legato alla memoria”.

Come si è svolto questo suo percorso individuale?

“È iniziato nel 2009 con lo spettacolo “Balera 59. Ballo,miracoli e lotta di classe” che raccontava le sale da ballo e le case del popolo a Pisa negli anni 50. Questo spettacolo ha avuto tanto successo, ci sono state tante repliche, e lo continuiamo a portare in giro. Così ho deciso di continuare su questa strada e mi sono appassionato di pugilato, sempre legato agli anni 50, scrivendo una storia, “Cazzotti”, legata al pugilato pisano e a Piazza delle Vettovaglie. In seguito ho scritto una storia insieme a Francesco Bottai sul pittore e incisore pisano poi adottato da Marina di Pisa, Giuseppe Viviani, dal titolo “Bepi. Vita, fisime e batticuori di Francesco Viviani”. Nel 2018 ho cercato di raccontare il 68 a Pisa nella ricorrenza dei cinquant’anni con “Pisa 68 .Un maggio lungo un anno”. Diciamo che mi sono un po’ specializzato in racconti legati al territorio pisano”.

La sua ultima fatica qual è?

“È legata a un diario di guerra e si chiama “Dante va alla guerra”. Anni fa un mio amico, Alessandro Fiorentini, che lavora a Telegranducato, mi presentò un diario di guerra del suo babbo allora novantaseienne. Al bar mi dette in mano questo diario dicendo: ”Questo lo devi raccontare te”. A quel tempo andai da suo padre, a Coltano, dove lui abitava, e lo intervistai. Ben prima che lui mancasse, l’anno scorso, alla bella età di 101 anni. In quell’occasione mi ricevette a casa, nell’orto, dove parlammo un po’ di questo diario dal titolo: “Soldato semplice Dante”. Lo aveva scritto con l’aiuto del figlio narrando la sua guerra che era la Seconda Guerra Mondiale. Lui ha iniziato con l’Albania, poi ha proseguito con la Grecia, quindi è passato in Africa. È stato anche in Francia, quando Mussolini mandò lì un manipolo di soldati italiani. Fu fatto prigioniero e portato in Scozia, a Inverness, dove c’è il famoso lago di Loch Ness. La sua è stata una guerra strana perché non ha mai combattuto, e come si dice in pisano, “l’ha sempre scansata”. Quando arrivava lui accadeva sempre qualcosa per cui lui non affrontava mai il fronte. Anche la sua prigionia è stata strana perché lui racconta che è stato trattato benissimo. Il campo di lavoro degli inglesi non aveva nulla in comune con il dramma dei campi di concentramento che negli stessi anni erano in Polonia e in altre località europee. Gli inglesi, grandi persone, li facevano soltanto lavorare senza sottoporli a violenze di sorta. La cosa buffa è stata che, finita la guerra, dopo anche Hiroshima e Nagasaki, nessuno li faceva tornare in Italia. Fino alla fine del 1946, alla fine di tutto, sono rimasti in quel campo”.

Quando ha debuttato questo spettacolo?

“Nello scorso settembre col gioco, anche ironico, sui 700 anni del sommo poeta Dante, anche perché va detto che il Dante soldato aveva una passione per l’ottava rima e la poesia: “Il Meschino”,l’Ariosto, Dante stesso. E infatti il primo racconto che mi fece verteva su come lui e i suoi amici misero in scena, al ritorno alla vita civile, il “maggio” della Pia dei Tolomei. Quindi il mio gioco è stato legare la poesia alla guerra per cui sono arrivato anch’io a comporre delle ottavine per suddividere i vari capitoli della narrazione, stando tra il Dante alla poesia e il Dante alla guerra. A settembre, però, la coincidenza è stata voluta, ora, invece, la coincidenza tragica con la guerra ucraina è proprio casuale. Il mio spettacolo non è schierato da nessuna parte, ma proprio con l’arma dell’ironia vuol fare comprendere l’assurdità dell’evento bellico. Perché la seconda guerra mondiale è stata senza dubbio alcuno drammatica come tutte, ma per certi versi anche ridicola per il modo, per esempio, con cui l’Italia ha affrontato la campagna di Albania. Lui non si trovò in fronti caldi come la Russia, e andò in Africa quando ormai erano finiti i combattimenti, però fu in luoghi in cui si sparava e si moriva”.

Ci parli un po’ di rappresentazioni passate e future.

“Sono contento di parlare qui, di nuovo, di esibizioni, dopo la sosta pandemica con le chiusure dei teatri che ci hanno costretto a lavorare solo e poco nei mesi estivi. Quest’anno voglio mettere in scena tutti e cinque i miei spettacoli. Le mie ultime rappresentazioni sono avvenute in queste ultime settimane. “Balera” è stata vista al Teatro “InStabile. Culture in movimento” di via della Funga a Firenze. “Bepi”, invece, è stato rappresentato al Caracol pisano di via Cattaneo. La prossima volta sarà Sabato 30 Aprile al Circolo Arci ”Il Fortino” di Marina di Pisa, dove faccio sempre i miei spettacoli. Spero di tornare a maggio al Circolo Arci di Coltano dove viveva il soldato Dante per una serata speciale in sua memoria con tutti i suoi familiari e amici. Nello stesso mese dovrei essere a Livorno nella prestigiosa rassegna di teatro di narrazione “Scenari di quartiere” , organizzata dal Comune di Livorno e il Teatro Goldoni, sempre con “Dante va alla guerra” , che replicherò anche a Molina di Quosa con l’associazione “Molina mon amour” gestita da Gabriele Santoni. Ho già dei contatti estivi per mettere in scena anche “Pisa 68” e “Cazzotti”.

Ha parlato di luoghi di teatro, le vorrei chiedere come trova la situazione del teatro, attualmente, a Pisa?

“La situazione non è bellissima. Il teatro a Pisa vede un po’ di spazi chiusi rispetto a 10 -15 anni fa”.

Per colpa della pandemia o di altro?

“Secondo me c’era già una crisi generale e la pandemia non ha fatto altro che acuirla. Comunque, ora, c’è una voglia di ripresa, e le ultime due estati sono state abbastanza positive con spettacoli all’aria aperta che hanno permesso di riprendere a fare qualcosa. Gli spazi sono ristretti e per questo faccio pubblicità al “Caracol” di via Carlo Cattaneo, che in questo momento, con grande volontà, porta avanti un discorso importante nonostante le limitate possibilità”.

Anche il Teatro Nuovo si sta impegnando molto in questo periodo…

“Sicuramente il teatro guidato da Carlo Scorrano è una realtà di valore e che apprezzo. Infatti, “Dante va alla guerra” ha debuttato nella rassegna organizzata dal Comune al teatro e al Giardino Scotto.Si spera che la fine della pandemia permetta di far rinascere spazi ora chiusi”.

Dal punto di vista metodologico come nascono questi suoi spettacoli?

“Il mio punto di partenza, come ho già accennato, sono le interviste, da lì nasce tutto. Io i testi li scrivo da solo, ma ho anche un collaboratore artistico che è Angelo Cacelli, che mi aiuta sia a reperire le fonti, sia durante la fase della scrittura e della messa in scena collaborando persino nella regia. Mi piace citarlo perché lui è stato una presenza costante e importante in tutti i miei cinque lavori. Nel mio piccolo cerco di coinvolgere le persone in racconti che sono in qualche modo dimenticati. Ha valore l’argomento: il  ‘68, la guerra, il pugilato. Ma più di tutti ha valore la microstoria inserita nella macrostoria. Tolstoi lo diceva: “Racconta il tuo paese e racconterai il mondo”. Questa è la mia fonte di ispirazione, anche se poi il paese, va raccontato bene, nel modo giusto. Quando arrivo sulla scena decide lo spettatore se l’ho fatto bene o male”.

Invece, parlando degli attori teatrali nazionali, quali sono quelli che per lei  sono un punto di riferimento?

“I miei punti di riferimento sono i grandi della narrazione. Il mio mito è Ascanio Celestini anche perché i cognomi Celestini e Azzurrini hanno delle affinità… ovviamente scherzo. La narrazione mi ha sempre affascinato come spettatore, trovo stupendo il mondo dell’affabulazione perché entrare nelle storie è diverso dal leggerle o sentirsele raccontare. Oltre Celestini potrei citare gli altri giganti della narrazione come Paolini e Baliani”.

Vorrei concludere con una domanda classica. Il teatro serve a qualcosa?

“Credo che in qualche modo il teatro serva per mantenere viva la memoria. Poi, nel teatro si racconta qualcosa, si danno delle emozioni, e in un mondo in cui si vive ormai dentro il virtuale ci permette di raccontare delle storie dal vivo, in modo diretto, senza filtri. È una cosa che esiste da sempre e credo proprio che serva. A me, come spettatore, serve proprio tanto. Per questo penso che col lookdown ci sia mancato molto e ora che arriva l’estate e si sta di più all’aria aperta e il covid stia finendo, o almeno fa meno danni e paura, si spera che la gente ritorni a vedere gli spettacoli. A proposito lancio un appello: andate a teatro. Non mettete “mi piace” su facebook rimanendo a casa. Andare a teatro vuol dire: mettersi le scarpe, vestirsi, uscire di casa, aprire l’ombrello se piove e dirigersi verso il teatro. Dario Fo parlava del “rito della vestizione” dicendo “Chi mi è venuto a vedere quella sera si è levato dalla sua comoda casa e dal suo comodo divano, s’è tolto il pigiama, s’è vestito e poi si è diretto al teatro”. Tutto questo va ripreso”.

Mi sembra importante questo suo appello al ritorno all’azione diretta

“La vita reale è diversa da quella virtuale. Nei social sembra che pensare una cosa sia farla. Parli con un amico in chat e ti sembra di avergli parlato di persona. Non è così. Mettere un “mi piace” non vuol dire incontrare un amico, o andare a fare una cosa. Riappropriamoci del modo naturale di vivere. Dopo la sosta forzata a casa di questi ultimi anni ritorniamo in giro, senza tante paure, con le necessarie precauzioni se è il caso, ma torniamo alla vita, torniamo al teatro”.

Grazie Marco, buon teatro a Lei e a tutti i teatranti. Intanto ci dia gli estremi per il prossimo spettacolo di Dante al Circolo Arci “Il Fortino” di Marina di Pisa.

“Grazie a voi e incrociamo le dita. Ecco le informazioni essenziali…”

Sabato 30 Aprile, al Fortino, “Dante va alla guerra”, ore 21.
“Non si parla del ghibellin fuggiasco,il Dante che sabato 30 viene al Fortino non è l’Alighieri, ma Dante Fiorentini, vissuto a Coltano in provincia di Pisa
Prezzi: ingresso 5 euro; cena e spettacolo 25 euro. Solo la cena 23. Tessera Arci obbligatoria. La cena, prevista per le ore 20, comprende: risotto di mare; scorfano al forno con verdurine di stagione; dolce del cuoco; vino di Canneto.
Per informazioni: www.circoloilfortino.it

Un consiglio da seguire, date retta, poi mi ringrazierete!

Condividi la notizia:
Articoli pubblicati: 241

Collaboratore

Lascia un commento