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Vittore Grubicy: l’intellettuale, il pittore, l’uomo raccontato da Sergio Rebora

- Cultura
13 Aprile 2022

Ilaria Clara Urciuoli

Vittore Grubicy de Dragon, classe 1851. Una personalità interessante nel panorama artistico a cavallo tra Ottocento e Novecento che ha scandagliato, con la sua attività di gallerista, promotore, quindi artista a sua volta, le varie correnti e le tante sensibilità che hanno animato l’Europa della Belle Époque, un’Europa che si muoveva sempre più velocemente tra sviluppo industriale, imperialismo e nazionalismi per arrivare poi alla grande catastrofe che ha segnato il secondo decennio nel XX secolo.

Fino al 10 luglio una mostra ospitata nel Museo della Città di Livorno ci permette di conoscere non solo l’artista ma  anche l’intellettuale e l’uomo che vive dietro quel nome. Ad accoglierci sono subito i suoi ritratti ma è seguendo il percorso espositivo che si dipana in nove sale che entriamo realmente a contatto con la profondità di questo personaggio, figlio di un barone magiaro e di una nobildonna lombarda appassionata d’arte, cresciuto nella vitale Milano di fine secolo e spesso in viaggio nelle principali capitali europee dove entrò in contatto con pittori e intellettuali in uno scambio proficuo tanto per la sua persona quanto per la nostra pittura.

Ci accompagna in questo viaggio Sergio Rebora, curatore con Aurora Scotti Tosini della mostra livornese e già autore nel 2005 del volume “Vittore Grubicy de Dragon. Poeta del divisionismo 1851-1920”, al quale rivolgiamo alcune domande, partendo proprio dalla dimensione internazionale di questo uomo di cultura.

Milano, Londra, Parigi, L’Aja: anche grazie al suo lavoro di gallerista Vittore Grubicy è rimasto sempre fortemente connesso alla realtà europea. In che modo ha contribuito a sdoganare l’arte italiana?

“Dalla prima metà degli anni Settanta dell’Ottocento Grubicy ha letteralmente esportato la produzione degli artisti italiani (in prevalenza lombardi e specialmente gli acquarelli di Tranquillo Cremona) all’estero attraverso viaggi e contatti con molteplici gallerie d’arte. Ma si è trattato anche un processo all’inverso: in qualità di mercante e poi di critico ha diffuso la conoscenza dell’arte straniera, vista sul posto, a Milano, mostrandone esempi agli artisti da lui seguiti come Segantini anche mediante riproduzioni fotomeccaniche”.

Morbell, Parlatorio del Pio albergo Trivulzio

Come abbiamo già ricordato Grubicy è stato gallerista, promotore, critico e successivamente egli stesso
pittore. In quale di questi ruoli ci lascia la sua eredità più importante?

“La sua funzione maggiormente significativa, quella che dovrebbe essere tesaurizzata nel vero senso della parola, è quella dell’intellettuale: una coscienza critica lucida e sempre presente la cui fisionomia si compone di tutte le sfaccettature ricordate. La mostra di Livorno e i testi del catalogo vorrebbero proprio mettere in risalto questo ruolo cruciale che forse finora è rimasto meno evidente”.

Vittore Grubicy ha attraversato diverse correnti: dalla scapigliatura milanese, che all’inizio della sua carriera di gallerista portò sul mercato londinese, fino ai futuristi con i quali partecipò come pittore all’“Esposizione di arte libera” a Milano nel 1911, passando per il divisionismo e il simbolismo che potremmo dire centrali nella sua attività. Come la sua pittura riflette questa ampia cultura e qual è il suo tratto distintivo?

“Alla dimensione sentimentale ed emotiva che caratterizza l’esperienza della Scapigliatura la pittura di Grubicy fa costante riferimento, non tanto nella scelta dei temi svolti né della tecnica, quanto nel processo di idealizzazione e rivisitazione di un momento del confronto con la natura. Il vero naturale non è osservato e riprodotto come accade per altri maestri lombardi specializzati nel paesaggio, come Carcano e Gignous, è evocato e rivissuto provando le stesse emozioni vissute dal vero. E nel far questo l’artista sceglie la modalità espressiva che ritiene più efficace per raggiungere lo scopo prefisso, cioè una personalissima versione della pittura a toni divisi, profondamente diversa da quella degli altri maestri, da Segantini a Pellizza a Morbelli. A sua volta la prassi di ridipingere gli stessi quadri a distanza di anni in alcuni casi reinterpretandoli rende la sua pittura assolutamente riconoscibile e originale”.

Quando gli uccelletti vanno a dormire (foto Vittorio Calore, Milano)

Emerge la figura di un intellettuale aperto, quasi proteso verso la novità. Penso all’interesse per i progressi delle tecniche di riproduzione (che permettevano un’ampia diffusione della conoscenza ma anche l’apertura di nuovi mercati), e ancora all’interesse per l’arte industriale e per le arti decorative, in particolare quelle ispirate al modernismo. Ma anche alla sua attrazione per il Giappone che a inizio Novecento si affermava come potenza asiatica in grado di tenere testa a quelle europee. Ci vuole dire qualcosa in più su questo Grubicy?

“È un uomo del suo tempo, quindi imbevuto di cultura positivista, che le innumerevoli relazioni interpersonali, a volte anche molto strette, con esponenti della cultura e della società italiana ed europea del suo tempo testimoniate dal monumentale epistolario conservato al Mart di Rovereto rendono colto e curioso. È ancora una volta la conoscenza diretta di quanto avviene Oltralpe, soprattutto a Parigi e a Londra, a motivare in lui il desiderio di promuovere e diffondere anche a Milano le innovazioni, da quelle tecnologiche a quelle di stile a quelle culturali. L’esempio della Galleria Goupil è per lui fondamentale e ineludibile; per quanto concerne il fenomeno del giapponismo e del modernismo occorre ricordare che Milano, già a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento è uno straordinario e precoce laboratorio di idee messe in pratica. Già in quegli anni i grandi magazzini di Romolo Rituali commerciano oggetti giapponesi e il laboratorio di ebanisteria di Carlo Bugatti, presso cui Eugenio Quarti si forma, esporta in tutta Europa i suoi arredi esotici e innovativi”.

Grubicy e Livorno: pur non avendoci mai vissuto ha contribuito fortemente a rinnovare la pittura livornese che era ancorata alle vicende dei Macchiaioli e dei Post-macchiaioli. In che modo vi è riuscito e quali furono gli sviluppi a lui attribuiti o attribuibili?

“Dal primo decennio del Novecento Grubicy intesse un rapporto di più che profonda amicizia con il giovane pittore Benvenuto Benvenuti, che diventa davvero una sorta di figlio adottivo, di figlio mai avuto per l’anziano intellettuale – artista, il quale gli trasmette tutti i suoi saperi indirizzandone anche la ricerca pittorica verso il divisionismo e i temi paesaggistici. A sua volta Benvenuti diffonde il verbo del maestro nella sua Livorno, coinvolgendo nella stessa ricerca alcuni artisti di spicco, come Adriano Baracchini Caputi, negli esiti il più vicino all’arte di Grubicy. E poi a Livorno, dopo la morte di Vittore, giunge anche materialmente la sua eredità dal momento che Benvenuti viene nominato suo erede universale: i dipinti (oggi perlopiù a Fondazione Livorno), il prezioso archivio di cui si è detto ma anche arredi e oggetti personali che in parte è possibile vedere per la prima volta nella mostra odierna”.

Guardando la vita di questo intellettuale risaltano alcuni legami molto forti. Penso a Giovanni Segantini ma anche a Benvenuto Benvenuti, allievo che lo supporta in alcuni momenti di difficoltà e che raccoglie in un certo senso la sua eredità. Un altro incontro speciale è quello con Arturo Toscanini. Che rapporto era il loro?

“Un rapporto innanzitutto amicale e che si estende – come spesso a Grubicy capita – anche ai componenti della famiglia dell’amico, in questo caso la moglie Carla De Martini e i figli Wally, Walter e Wanda. L’incontro viene favorito nel 1911 dal grande scultore simbolista Leonardo Bistolfi, già amico di entrambi: da quel momento il maestro viene conquistato dalla pittura di Grubicy, diventandone collezionista. Nella sua raccolta, conservata inizialmente nella casa di via Durini a Milano e poi purtroppo totalmente dispersa, si contano a un certo momento più di sessanta dipinti. Toscanini coinvolge l’anziano Grubicy in gite automobilistiche, lo invita a concerti e soprattutto lo frequenta assiduamente assicurandogli anche il suo sostegno economico. È Toscanini, insieme al pittore Arturo Tosi e a Benvenuti, a scegliere i dipinti da destinare ai musei italiani dopo la morte di Grubicy”.

Ilaria Clara Urciuoli

VITTORE GRUBICY DE DRAGON
 “Un intellettuale-artista e la sua eredità”
Aperture internazionali tra divisionismo e simbolismo
8 aprile – 10 luglio 2022

Orari: dal martedì al venerdì 10.00-20.00; sabato e domenica 10.00-22.00
Lunedì chiuso
Museo della Città di Livorno
Polo Culturale Bottini dell’Olio
Piazza del Luogo Pio – Livorno

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Un fiume unisce la Toscana e rappresenta il modo di vivere forte e intraprendente del suo popolo. L'Arno.it desidera raccontarlo con le sue storie, fatiche, sofferenze, gioie e speranze. Senza dimenticare i molti toscani che vivono lontani, o all'estero, ma hanno sempre nel cuore la loro meravigliosa terra.

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