Ho il forte sospetto che mio amore per gli aforismi sia conclamato in chi ha la ventura di posare ogni tanto, anche per sbaglio, la sua attenzione sui miei articoli. Mi sembra, infatti, che gli aforismi siano un bel modo per riassumere un concetto e aprire, o chiudere, la trattazione di un argomento. Così, anche stavolta, parto da uno di un autore a me particolarmente caro, Cesare Pavese, che rammento da tempo: ”La letteratura è una difesa contro le offese della vita”. Una definizione quanto mai attuale in questi tempi grami.

Così decido di parlare proprio di letteratura, e per farlo ho cercato un autore pisano, o meglio pontederese, Dino Fiumalbi, conosciuto, nella cerchia degli scrittori locali e non solo, per il modo personale con cui interpreta questa eterna lotta tra parole e immagini che ogni autore combatte davanti agli schermi dei pc nel momento della creazione letteraria. L’unica battaglia che noi, inermi pacifisti, ci sentiamo di combattere e propugnare per cambiare il mondo.

Buonasera, Dino, si presenti da solo, come costringo tutti a fare in occasione di questi incontri…

“Mi chiamo Dino Fiumalbi, pontederese da sei generazioni, praticamente dal 1600, da alcuni anni sono un pensionato dopo aver insegnato educazione tecnica, tecnologia, informatica per trentacinque anni, soprattutto nelle scuole secondarie inferiori dopo un brevissimo periodo in quelle superiori”.

L’ultima scuola dove ha lavorato qual è stata?

“La scuola secondaria inferiore “Pacinotti” di Pontedera”.

Ora nel tento tempo libero si dedica a…?

“A troppe cose. Se non si presta attenzione si lavora più da pensionati che da lavoratori. Infatti mi dedico all’olivicoltura, faccio un po’ il taglialegna, e in passato ho fatto anche l’apicoltore”.

In quale zona?

“In una frazione di Pontedera, sopra Treggiaia, dove ho un pezzo di terra in comodato d’uso e da cui si gode un panorama bellissimo. Lì passo il mio tempo col mio cagnolino, che ieri compiva nove anni e che mi tiene compagnia”.

Che razza è?

“Un incrocio, o meglio una rotatoria, tra la madre, incrocio tra un pastore tedesco e un pastore della Sila, e il padre, probabilmente un rottweiler. È molto veloce, appena gli dai un comando lui parte, e mi tiene compagnia in quella uliveta dove sto talmente bene che, secondo me, lì ci sono energie sotterranee favorevoli, a voler seguire le indicazioni un po’ esoteriche di certi indirizzi filosofici orientali”.

Quando è iniziato il suo percorso letterario?

“La letteratura è sempre stato un mio pallino, perché dopo aver fatto studi tecnici mi sono laureato in lettere, sia pure in tarda età, dato che nel frattempo avevo generato una figlia, mi ero costruito una casa con le mie manine, e svolto altre interessanti attività fra le quali insegnare a ragazzi più o meni riottosi. Mi ero fatto la promessa di laurearmi entro i quarant’anni e riuscii nell’impresa il giorno prima del mio quarantunesimo compleanno, Avrei potuto anche insegnare lettere ma mi ero affezionato alla disciplina precedente così sono rimasto dov’ero. La mia passione letteraria ha un’origine familiare perché mio nonno, da semianalfabeta, era un bravo cantore di endecasillabi”.

Era tipo il maggio?

“No, era una di quelle sfide che si svolgevano nei bar, nei circoli”.

Una tradizione tipicamente toscana…

“Esatto. Era una gara di botta e risposta a suon di endecasillabi a volte un po’ aggiustati, con una metrica in alcuni casi non proprio rigorosa. Quindi, grazie a nonno, imparai anch’io a divertirmi con questi scambi all’impronta. In seguito ho pensato di scrivere un po’ più sul serio e ho quindi deciso di frequentare dei corsi di scrittura con Alessandro Scarpellini, che è veramente una persona squisita e in grado di saper tirar fuori dai suoi alunni quello che loro hanno dentro. Dopo quell’imprinting piano piano ho cominciato a costruire i primi racconti e a pubblicare racconti in varie antologie. Uno in “Giallo Pisano”, un altro con la Carmignani edizioni, e altre. In seguito ho raccolto i racconti scritti in due raccolte. La prima è stata “ Noi umani cerchiamo quadrature” che conteneva alcuni racconti pubblicati e altri inediti. In questi racconti gli umani narrati vengono da tra contenitori: il quotidiano, la letteratura e la storia. Sostengo che noi siamo cerchi ma anche quadrati, come diceva Vitruvio e come Leonardo ci ha rappresentato. Il gioco sottile che mi è piaciuto è proprio quello di evidenziare che noi umani cerchiamo quadrature pur essendo cerchi, in un’alternanza perenne. Mi preme sottolineare come in ognuno di questi racconti vi sia una sorpresa.

Come nell’ovo di Pasqua?

“Quasi, d’altronde siamo cronologicamente in tema. Il mio primo romanzo, invece, è stato “La neve e il Vermentino”, edito con la Carmignani. Questa è una storia che si volge tra le Apuane e la Garfagnana, dove il protagonista vive all’ombra di una ferita precedente prima di ricevere una visita che porterà a un cambiamento. Poi abbiamo il più recente, ovvero un’altra raccolta di racconti: “Le donne, il diavolo e il destino”, edito con la Bandecchi Vivaldi”.

Questo che ha sottotitolato come “un’opera al giallo in tre atti e nove quadri”. Che significato ha questo titolo nel suo complesso?

“Ho giocato con le D del titolo e trattasi di una raccolta di racconti, otto giù pubblicati e uno nuovo. Il sottotitolo l’ho giocato proprio pensando ad un’opera lirica colma di tutta una serie di personaggi. Le protagoniste principali sono tre donne: la naturalista Riccarda, la marchesa Adelaide e la poliziotta Matilde. C’è un prologo, un primo, un secondo e un terzo atto. Poi, essendo innamorato dell’intermezzo di Bizet ce l’ho voluto inserire, e li si parla della forza del destino, oltre ad esserci un forte richiamo alla notte sul Monte Calvo. Per finire un gran finale”.

È un’amante della lirica?

“L’apprezzo molto senza esserne un patito. La mia, di opere, è in giallo, e le tre signore iniziano le loro avventure separatamente, per ritrovarsi infine a indagare tutte insieme nello sfavillante finale. Cosa interessante da rimarcare è che le tre donne sono persone vere, ovviamente dalle generalità mutate, che ho avuto la fortuna d’incontrare. Oltre a loro c’è un quarto personaggio, stavolta un uomo, di nome Paris. Dopo averlo stampato ho preso consapevolezza della presenza di tutte queste D nel titolo e ho compreso che erano le iniziali del mio nome”

Dino.

“Appunto”.

E quindi, poiché abbiamo scoperto chi siano le donne, preso atto che il Diavolo è presente tra le pagine, resta da sapere chi sia il Destino, che potrebbe essere lei.

“Può darsi, leggendolo si scopre tutto. Non anticipo niente. Posso solo aggiungere che elementi importanti del libro sono presenti nell’illustrazione della copertina curata da mia figlia”.

Invitiamo tutti i lettori ad acquistarlo dato che le premesse per una lettura accattivante ci sono tutte. Ora cosa sta scrivendo?

“Sono alle prese con una storia un po’ particolare. Il protagonista è uno scultore che si è messo in testa di scolpire la musica”.

E ci riuscirà?

“Ancora non si sa”.

Interessante, ci dica di più…

“All’interno di quest’opera vorrei tirar fuori una serie di osservazioni che ho elaborato nel corso della mia carriera scolastica e che spesso e volentieri sono state poco apprezzate e poco comprese. Ho scritto sull’argomento anche diversi articoli. Una di queste osservazioni riguarda la “manipolazione cognitiva”.

Ce la spieghi, almeno a grandi linee…

“Brevemente, altrimenti si fa notte. Quando manipoliamo i concetti ci comportiamo come quando modifichiamo gli oggetti. In quest’articolo che scrissi su questa teoria faccio un parallelo fra oggetto e concetto. Il mio riferimento pedagogico è stato Elio Damiano col suo “Insegnare con i concetti”, un modello didattico fra scienze e insegnamento. Seguendo questa teoria accade che approfondisci la conoscenza dell’oggetto quando lo manipoli, lo tocchi, lo misuri, lo tagli, lo incolli. In questo modo acquisisci non solo capacità manipolatorie ma migliori le tue conoscenze”.

Se ho capito bene, allora, anche concetti astratti come, per esempio, la bontà si possono interiorizzare manipolando, vivendolo in prima persona, ma come?

“Proponendo una elaborazione scritta, un confronto, consultando un vocabolario, e lavorando soprattutto su due concetti: l’intensione e l’estensione. La prima indica la quantità di informazioni che uno ha sul concetto, la seconda è la quantità di elementi corrispondenti a quel concetto. In altri termini, se guardo la carta d’identità vedo gli elementi che ci sono dentro, per esempio mi dà l’intensione che sono un cittadino italiano, e l’estensione che sono una parte di sessanta milioni di persone. Se poi aggiungo informazioni relative al genere, il campo degli oggetti corrispondenti a quell’informazione di partenza si restringe. Alla fine sono arrivato al massino dell’estensione e al minimo dell’intensione”.

Riassumendo e concludendo potremmo dire che la parte concreta manipolativa può agire su quella concettuale non concreta con una serie di operazioni che allargano, alla fine delle operazioni, la nostra conoscenza…

“Io cerco di inserire in quest’opera questi concetti mirando a superare la difficoltà insita nel comprendere la parte saggistica in quella narrativa. Vedremo, nella storia che sto scrivendo, come questo scultore se la cava”.

C’è uno sviluppo giallo visto che Lei s’interessa al genere.

“Qualcosa c’è, ma trattasi di un giallo atipico perché qui non c’è il morto con l’assassino da scoprire, ma la suspence riguarda l’incertezza sul raggiungimento dell’obiettivo prefissatosi dal nostro eroe”.

La casa editrice che lo stamperà?

“La BandecchiVivaldi di Pontedera, come sempre”.

Quindi lei cerca di unire la saggistica con la narrativa…

“Soprattutto di unire discipline come la scienza e le humanae litterae, mirando ad unire contesti paralleli che ritengo siano più uniti di quanto si pensi”.

Spostiamo ora il discorso su alcune domande classiche e ricorrenti. Qual è, per lei, la funzione della letteratura in generale?

“Come dicevo prima, secondo il mio punto di vista è quella di veicolare argomenti che non sempre la letteratura considera, come i saperi scientifici, ma che stanno dentro la realtà tangibile”.

Svelare l’indicibile. Ma questa mi pare di più la sua poetica.

“Certo, però ritengo che la letteratura non sia solo un veicolo di sentimenti umani, ma anche di altre conoscenze che normalmente altri scansano. Un autore, per esempio, che segue questa linea e che ho apprezzato moltissimo è l’arabo-francese Denis Guedj, che nel suo “Il teorema del pappagallo” raccontando una storia gialla tiene anche, in maniera un po’ subdola, una lezione di matematica”.

Quindi ritiene che la letteratura debba sempre contenere un insegnamento…

“Penso, tra i tanti, al “Gattopardo”, “cambiar tutto per non cambiare niente”, dove si parlava di storia. Parlerei più di informazione che di insegnamento”.

Non scolastico.

“Esatto. Il libro, ripeto, serve per offrire informazioni che si possono e si debbono scambiare allorché si parla e si discute dell’opera in gruppo. È un momento importante, per me, quello della socializzazione, che ho la fortuna di celebrare nel mio circolo letterario di Pontedera attualmente denominato “Monica Marrucci” in onore di un‘amica che purtroppo ci ha lasciato. Frequentare un circolo letterario ti permette di discutere delle varie sfaccettature del libro in modo da arricchirti”.

Argomento per un altro articolo.

“Certo, con il circolo abbiamo avuto un incontro anche poco tempo fa, e come sempre è stato un momento bellissimo, molto aperto, libero e democratico, dove nessuno sale in cattedra e ognuno può fare quel che vuole o si sente di fare, anche stare zitto e ascoltare. Questo grazie al libro che ne è stato il pretesto, il punto di partenza”.

Quando la letteratura circola tra la gente e si coniuga con la vita quotidiana ricopre senza dubbio un ruolo importante nella società.

“Fondamentale. Leggere un libro porta alla ricerca dello studio dell’etimologia delle parole, che diviene esiziale perché ti permette di essere consapevole sia dei termini che si usano, sia perché le loro singole storie ti permettono di avere altre informazioni di ambiti diversi da quello letterario”.

Tornando invece all’attualità, quale disciplina tra filosofia e letteratura può aiutarci in questo momento così difficile tra pandemia e guerra?

“Una visione strutturata della vita, che magari abbia delle solide basi filosofiche tali da permetterci anche di cambiare prospettiva, qualora sia il caso perché le situazioni cambiano, può essere certamente un valido aiuto”

Perché solo gli sciocchi non cambiano idea…

“Su questo non c’è dubbio. Non ci deve essere rigidità perché tutto quello che si irrigidisce si rompe, ma deve esserci sempre e comunque apertura. Occorre elasticità di pensiero”.

Secondo lei, nonostante le attuali nubi alte e minacciose sopra le nostre teste, bisogna essere ottimisti o pessimisti?

“Mi diverto, tutte le volte che mi chiedono se il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, a rispondere: ”È mezzo”. Il dato è quello. Se hai tanta sete lo vedi mezzo vuoto. Se hai bevuto talmente tanto che non ne puoi più è anche troppo pieno. Dipende dall’uso che ne
fai di quel liquido”.

Quindi la valutazione è soggettiva. E lei come si pone?

“Negli ultimi tempi non sono molto ottimista, perché il famoso detto medioevale, la fame, la guerra e la peste, è quasi completo. Manca solo la fame”.

È vero, sembra di essere tornati ai tempi della peste nera e dintorni…

“Non si è imparato nulla. Il mondo è cambiato e non in meglio. In trentacinque anni di scuola ho visto nascere e svilupparsi quell’imbarbarimento del pensiero che è sotto gli occhi di tutti. L’ignoranza trionfa. Sappiamo tutti che tante parole portano molti pensieri, mentre poche parole pochi pensieri. La peste nera dei nostri giorni è probabilmente l’ignoranza che avanza e conquista proseliti. Se, poi, mi costringe a scegliere tra pessimismo e ottimismo devo concludere dicendo di essere più pessimista. Un tempo le
persone ignoranti si disperavano di esserlo, ora chi non sa se ne vanta. Pare un merito essere privi di conoscenze”.

E, aggiungo io, di umanità.

“Che sono collegate. Quando mia madre, operaia della Piaggio, non trovava le parole per rispondere ai suoi capi reparto si disperava e mi diceva: ‘Mi raccomando Dino, studia, perché così saprai rispondere'”.

Per quanto riguarda, invece, gli autori, quali sono i suoi preferiti, quelli a cui Si è ispirato?

“Quello che mi ha segnato, o meglio, fregato nella vita, è stato De Amicis. “Cuore” è stato il primo libro che ho letto. Tutte quelle storie di bei sentimenti e quegli insegnamenti rivolti alla ricerca del bene me li sento ancora tutti addosso. Ho lottato per togliermi certe immagini edificanti come quello che è salito sull’albero per farsi sparare per patriottismo perché irrealistiche o eccessive, ma con scarsi risultati. Sono rimasto molto coinvolto dai veristi: Verga, Capuana. Ma il modello inimitabile cui tendere resta, per me, Umberto Eco. La struttura de “Il nome della Rosa” è una fonte di ispirazione inarrivabile quanto stupenda per il modo con cui le storie s’incastrano nell’impianto narrativo generale e confermano le mie idee perché ci spiegano anche tante cose dei più vari ambiti culturali. Volendo, poi, continuare le citazioni posso dire che mi piace molto anche Camilleri per la sua operazione linguistica con il siciliano, mentre l’altro ottimo Di Giovanni l’ho apprezzato soprattutto agli inizi”.

Direi che il nostro incontro sia concluso, per cui La ringrazio per le numerose suggestioni offerte. Ci rivedremo sicuramente perché abbiamo aperto tante porte che andranno chiuse.

“Altrimenti entrano troppi spifferi freddi che recano malanni. Allora, a presto”.

Mentre mi allontano dal luogo del nostro incontro trovo che l’interessante chiacchierata con Dino Fiumalbi abbia confermato la bontà dell’asserto pavesiano iniziale. L’oretta passata con quest’autore discettando di tanti validi argomenti ha allontanato entrambi dalle miserie quotidiane e portato altrove. Volendo seguire più percorsi come questi che altri si potrebbe essere tutti migliori, riuscendo a spendere meglio su questo pianetino il tempo a nostra disposizione. Volendo. Ma bisognerebbe essere tutti concordi. Bisognerebbe.

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