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Quando l’Arno era una grande e bella piscina e un campo da gioco

- Cultura
21 Marzo 2022

Paolo Lazzari

C’è un lembo d’acqua non banale che congiunge il ponte di San Niccolò a quello di Verrazzano. Gli spifferi mormorano che un tempo doveva essere placido e dignitosamente pulito, a seconda delle correnti. Oggi la sola idea di tuffarsi corruga la fronte e irrigidisce, ma nel 1904 i timori facevano giri diversi, l’inquinamento era un orpello relegato in un angolo e bagnarsi in Arno non determinava pensieri fetidi.

Quel perimetro benedetto era il luogo dove si infrangevano flutti e sogni di gloria altrui. Sì perché il settebello fiorentino non ne aveva proprio per nessuno e gli ospiti se ne uscivano sovente contusi nei pensieri e al livello delle ossa. “Rari Nantes” non era una coppia di parole selezionate con impudente casualità. Intingendo il dito sulla punta della lingua e sfogliando il voluminoso tomo, scopri che si tratta dei versi di Virgilio nell’Eneide. Rari nantes in gurgite vasto è l’espressione usata per descrivere i pochi uomini dispersi in mare dopo il naufragio della flotta troiana, indotto dalla dea Giunone. Rari nuotatori in un vasto gorgo. Solo che quel braccio di acqua, che sia dolce o salata, viene abitato con disinvoltura. I ragazzi hanno spalle prominenti, pettorali guizzanti, braccia e gambe sul punto di esplodere. Una struttura fisica su cui s’innestano qualità prodigiose quando si tratta di far girare la palla. E pazienza per l’amatissima Fiorentina: l’ante guerra è dominato dalla Rari, che riesce a far passare il calcio in seconda serata surclassando avversari e infilando sei scudetti consecutivi.

L’Arno è la piscina della squadra. Le porte galleggiano agganciate agli ormeggi, la folla si assiepa sulle sponde e la sfera, in cuoio, passa di mano in mano prima di infilarsi in rete. Le regole sono diverse da quelle di oggi: all’epoca potevi tenere la palla quanto volevi e la partita sfilava via in due tempi da venti minuti. Il fiume, spesso torbido, suggeriva stratagemmi ingegnosi ai giocatori. Alcuni, per dire, preferivano sfilarsi gli slip per non essere uncinati dagli avversari e fluttuare via durante i contrasti acquatici.

La stella in quegli anni è Giordano Goggioli, uno che poteva infilare anche nove gol a partita e che, in seguito, sarebbe diventato il vate del giornalismo sportivo fiorentino. Al suo fianco ecco affiorare Valle, Zabberoni, Banchelli, Costoli, Pandolfini, Gigi e Berto Raspini. Dal 1934 al 1940 non c’è storia: le antagoniste vengono puntualmente silurate e la Rari si conquista un biglietto di sola andata, direzione leggenda. I nuotatori assumono sempre più le parvenze di semidivinità: in città il pubblico maschile li idolatra per i successi sportivi, mentre la platea femminile – stando alle insolenti cronache dell’epoca – si scioglie ogniqualvolta mettono piede fuori dall’acqua.

La storia però non accetta di proseguire senza incrinature. Giocare per sempre tra le braccia dell’Arno è un sogno implausibile. Le condizioni del fiume continuano a peggiorare e l’impianto di illuminazione tossicchia, spegnendosi – ad arte, sussurrano i maligni – proprio quando la Rari sta perdendo. Gli incassi non mancano, è vero, perché la pista da ballo adiacente procura frotte di giovani ogni estate, ma non si può comunque andare avanti così. Così un giorno ti svegli, sono gli anni Sessanta e il club decide di trasferirsi in piscina, a Bellariva. A quel tempo l’avevano ribattezzata “Il mare di Firenze”. Più tardi la Rari costruirà anche il suo, di impianto. Acque statiche e un tetto sulla testa, certo. Se però, cincischiando a piedi sulle sponde tra San Niccolò e Verrazzano, butti un occhio a quel braccio di Arno, lo capisci anche da solo che quella era tutta un’altra storia.

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