Paolo Lazzari

Lucca, 1517. Nel centro storico qualcuno issa su un nuovo palazzo, sospinto da spasmi di magnificenza. Il nuovo secolo, del resto, fa rima con grandi cambiamenti sociali, culturali e anche architettonici. Il denso ceto di mercanti lucchesi ha gruzzoli di denaro sonante da spendere per sfoggiare il proprio status. I nobiluomini, se possibile, di palanche ne hanno ancora di più. Martino Bernardini, che appartiene senz’altro a questa seconda classe, contempla con una punta di compiacimento le planimetrie. Poi lo sguardo si leva verso l’alto. Sì, la nuova residenza di famiglia sarà elegante e imperiosa. Già gli sembra di poterla toccare. L’incarico di modellarla è stato affidato a Nicolao Civitali, figlio del più celebre Matteo. Tutto sembra scorrere placidamente, ma sbuca un problema tutt’altro che secondario. Su una porzione della piazza, proprio vicino a dove dovrebbe sorgere il portone del palazzo, si staglia una statua della Madonna. Il simbolo è particolarmente venerato dalla comunità lucchese e, quando si inizia a vociferare di rimuoverlo, la cittadinanza insorge.

Palazzo Bernardini (Lucca)

Martino è riluttante a mettersi contro tutta quella folla, ma è altrettanto risoluto circa il fatto che il palazzo si deve fare. Alcuni gli suggeriscono di cambiare il progetto, altri di incastonare la statua nel nuovo complesso, ma ogni tentativo di persuadere il nobile è destinato a dissolversi. Il motivo, secondo il racconto popolare, è da addebitarsi all’influenza del diavolo: apparso improvvisamente al cospetto di Martino, gli promette un avvenire di sicura gloria se costruirà il complesso rimuovendo l’icona della Vergine. Circuito da umanissime ambizioni terrene, il giovane cede. L’effige viene smantellata e palazzo Bernardini diviene finalmente un’opera tangibile. La città mugugna. L’aria è carica di pensieri contundenti. Ma ad un nobile, ricco e protetto, è difficile opporsi.

Nel 1523, quando i lavori sono ormai ultimati, ecco però che il demonio decide di comparire di nuovo, per imprimere un segno imperituro del proprio passaggio. La profanazione compiuta anni prima dal Bernardini e il patto sancito, infatti, dovevano rimanere un potente monito per i secoli successivi. Così, alla destra del portone principale, il diavolo inserisce una pietra di sua fattura al posto della cornice esterna della finestra. La lastra flette la volontà dei costruttori, sporgendo disinvoltamente verso l’esterno, invece di rimanere attaccata alla parete. La singolarità dell’evento non è un fatto isolato. Ogni volta che la pietra viene nuovamente incollata, puntualmente si stacca. Nel corso dei secoli si prova anche a sostituirla, senza sortire alcun successo.

Quella pietra si trova lì ancora oggi, cinquecento anni dopo. Ed è incredibile come tutte le amministrazioni che si sono succedute, insieme a tutte le sovrintendenze, abbiano deciso di scansare la questione. La lastra campeggia solenne, propaggine inattesa del palazzo, senza che nessuno la tocchi o ne parli più. Forse perché le leggende, in fondo, hanno bisogno di simboli tangibili per continuare ad alimentarsi.

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