Guido Martinelli

La profetica asserzione degli anni sessanta del secolo scorso di Andy Warhol per cui, ai nostri giorni, ognuno sarebbe stato famoso per quindici minuti si sia rivelata molto azzeccata. La voglia di notorietà, di stare al centro dell’attenzione degli altri anche senza avere particolari meriti è oramai predominante, e i social la esaltano. La rappresentazione della realtà pare superare la realtà. Sembra che interpretare sia meglio di vivere, e di conseguenza tutti vogliono essere attori, dimenticando che per esserlo veramente occorre seguire un percorso preciso e accidentato. Per saperne di più sul mestiere di attore/attrice ho incontrato un’attrice professionista pisana.

Come dico sempre a tutti, si presenti ai nostri lettori…
“Sono Elisa Proietti, sono un’attrice e sono nata a Pisa”.

Pisana doc?
“Pisana doc da padre laziale e mamma senese. Sono rimasta qui fino ai ventitre anni dopo aver affrontato tutto il percorso della scuola dell’obbligo. All’inizio delle superiori volevo iscrivermi al Liceo Artistico ma i miei non lo vedevano di buon occhio perché quella scuola a loro non sembrava offrire sbocchi professionali. Così sono andata a Ragioneria, che mi sono messa in testa di fare bene tanto che sono riuscita ad uscire con 98/100. E poi ho deciso che bastava e che volevo andare a fare quello che mi andava, di seguire la mia via era: il teatro. Infatti avevo già cominciato dalla quarta superiore a frequentare i corsi di ‘Fare Teatro’ al Verdi”.

I famosi percorsi del Teatro Verdi, che hanno formato e formano legioni di spettatori e attori…
“Vero, è stata un’esperienza importante per me e per tanti con docenti del valore di Lorenzo Mucci, Luca Biagiotti, Franco Farina e altri. M’era preso questo pallino, così un anno decido: ‘Mollo tutto e ci provo’. E vado a provare dovunque ci fosse una scuola importante di teatro: Firenze, Roma, Milano. Mi è andata bene a Milano dove sono stata presa dalla scuola civica di teatro ‘Paolo Grassi’. Non me l’aspettavo e non me l’auguravo perché, all’epoca, la ‘Silvio D’Amico’ di Roma possedeva, per me, un po’ di fascino in più, anche se col senno di poi sono contenta così”.

Una scuola prestigiosa la ‘Paolo Grassi’, ce ne parli…
“Nello scorso anno ha festeggiato i settant’anni di attività. Trattasi di un’accademia d’arte drammatica gestita dalla ‘Fondazione Milano’, un ente privato che si occupa di formazione nelle arti dello spettacolo. Attualmente è diretta da Giampiero Solari”.

Se non erro un autore molto noto anche a livello televisivo…
“Sì. È una scuola molto selettiva dove non è facile entrare e restare”.

Quanto dura?
“Tre anni. È molto impegnativa, lo sapevo, forse credevo meno, tanto più che nel mio caso specifico dovevo anche lavorare perché i miei genitori hanno accettato la mia scelta ma con la clausola che l’affitto me lo sarei dovuto pagare da sola. Quindi ho fatto la cameriera, l’animatrice per bambini, che è un lavoro che mi porto ancora dietro, ed è stato tutto molto faticoso perché finivo magari alle due di notte e alle nove del mattino ero lì alla scuola fino alle sei di sera, e poi c’era il momento aperitivo cui non si poteva rinunciare. Certo, in una città così grande di lavoro ce n’era quanto ne volevi. Conciliare i due momenti non è stato facile”.

Quanti anni aveva quando ha iniziato la scuola?
“Ventitre, e sono uscita ai venticinque, che è tardi. Ora, tante scuole hanno messo dei limiti di età, e io sono entrata in una delle ultime occasioni”.

Dopo l’esperienza formativa quando è iniziata quella formativa?
“Chiaramente tutti gli agganci li avevo lassù, a Milano, e sono rimasta lì per molto tempo. Poi è accaduta una cosa molto bella che adesso sembra veramente una favola. Uno degli ultimi registi con cui avevo lavorato nella scuola era il francese Jean Claude Penchenat, che ha partecipato anche a ‘Ballando, ballando’ di Ettore Scola e ha avuto molti contatti col teatro italiano. Questo saggio lo portammo a Parigi, al teatro La Cartoucherie diretto da Ariane Mnouchkine, una roba mai vista, eravamo tutte elettrizzate. Una di quelle sere, perché sono stata in scena quattro-cinque sere, nel pubblico c’era un altro regista, Patrick Palmero, che dopo qualche mese mi chiama. A raccontarlo è impressionante. Lui mi vuole in un suo spettacolo che sarebbe andato in scena al Festival di Napoli del 2010. Siamo andati in Corsica, abbiamo fatto le prove di questo spettacolo e l’abbiamo portato a Pozzuoli, in un sottosuolo dove c’è una cittadina antichissima. L’anno successivo l’abbiamo portato in Corsica in una piccola tournée. Era una commistione di italiano-corso-francese- napoletano dato che il cast era molto internazionale, c’era un po’ di tutto. Da lì è cominciato la mia collaborazione con la Corsica. Va detto, poi, che negli ultimi anni della Paolo Grassi c’eravamo incentrati sulla Commedia dell’Arte sotto la direzione di Maurizio Schmidt”.

Che esperienze ha fatto nella commedia dell’arte?
“Ho realizzato diverse collaborazioni. Con l’Aidas, la scuola di Carlo Boso a Versailles; con Claudio De Maglio dell’Accademia ‘Nico Pepe’ di Udine. Siccome la Commedia dell’Arte è apprezzata più all’estero che in Italia spesso mi chiamano per insegnarla”.

Che ruoli predilige nella Commedia?
“Anche lì è buffa. Claudio De Maglio ci fece fare un piccolo spettacolo. Lui lavorava per improvvisazioni. Ti sceglievi o ti sceglieva lui il ruolo. Ci davamo questo canovaccio e poi scrivevamo le scene per costruire la storia. Chiese a tutti cosa volevamo fare o non fare e io ovviamente dissi l’Arlecchino. E lui mi disse: ‘Benissimo, quindi fai l’innamorata’. Aveva ragione anche se, come dice Massimiliano Civica, non ero consapevole del mio strumento”.

Strumento?
“Sì, il tuo strumento è quello che sei, quello che trasmetti, perché sei quello che trasmetti. Perciò lui aveva visto qualcosa che io non ero in grado di valutare. Ha fatto parecchio bene perché quando poi Ugo Chiti…”

Celeberrimo autore e regista della compagnia “Arca Azzurra Teatro”, una delle migliori realtà teatrali italiane e non solo. Da spettatore lo ammiro molto…
“Esatto, proprio lui, stava cercando un’innamorata e io mi sono così potuta presentare con un bagaglio di esperienze e di conoscenza che nel 2014 mi ha permesso di ricoprire quel ruolo. Sono tutte valutazioni di cui mi sono resa conto a posteriori”.

Che testimoniano, se ci fosse bisogno, che per essere attori ci vuole preparazione e non s’improvvisa…
“Certo. Se sono andata lì con le capacità e le possibilità di sostenere un provino improvvisando con un collega che faceva la parte dell’innamorato, ed ho poi preso quel ruolo lavorando da allora nell’’Arca Azzurra’, lo devo a De Maglio.

Una compagnia, questa dell’Arca, tra l’altro toscana, con sede a San Casciano Val di Pesa e attiva da molto tempo con successo…
“Hanno fatto la storia del teatro in Italia, non c’è che dire. Entrare lì è stato un impatto con una realtà che non avevo toccato con mano e di cui senti raccontare prima da colleghi-amici più esperti, ma non sai se ti capiterà. Ovvero far parte di una compagnia di giro, quella che fa le tournée. L’Arca è una delle poche realtà nazionali che si possono permettere di farle, e con trenta – quarant’anni di esperienze alle spalle possono permettersi di avere anche un gran seguito. Lì sono arrivata come il nuovo acquisto e tutti loro hanno fondamentalmente adottato sia me che l’altro ragazzo preso insieme a me. Tutt’ora siamo lì e continuiamo a fare la solita coppia d’innamorati”.

A parte l’esperienza dell’Arca, quali sono le altre compagnie nelle quali ha lavorato in giro per l’Italia a livello teatrale?
“Un altro mattone grosso della mia vita è la compagnia Borgobonò, pisana, e ferma da un pochino”.

Quante realtà ci sono nella nostra città che non si conoscono!
“Succede, purtroppo. Con loro interpreto un ruolo nello spettacolo ‘In ogni caso nessun rimorso’, tratto dall’omonimo testo di Pino Cacucci, il cui protagonista è l’anarchico Jules Bonnot. L’azione si svolge tra il 1876 e il 1912 e descrive anni di lotte e grandi ideali in cui tra i gruppi anarchici si dibatteva se fosse preferibile seguire una via illegalitaria o l’opposto”.

Chi è in scena con lei?
“Altri due giovani attori professionisti come me, Andrea Sorrentino e Mauro Pasqualini, che è anche il regista anche se lui non vuole essere chiamato così, e proviene pure lui dal ‘Fare teatro’. È di Livorno ma è sempre stato a Pisa. Insieme a noi ci sono pure le colleghe e amiche Annalisa Cima e Adele Pardi, quest’ultima anche violoncellista, musicista di scena e cantante. È uno spettacolo che ha avuto diversi riconoscimenti e dove ci s’interroga su quale sia la cosa più giusta da fare in determinate situazioni sociali e politiche se si vuole provare a cambiare la società. Saremo in scena al Teatro Vittoria a Roma perché abbiamo vinto un concorso li prima che si fermasse tutto nell’ottobre 2019, e dovevamo andare in scena nell’aprile 2020. Si spera nel maggio del 2022 di riuscire a calcare il palcoscenico”.

Altre collaborazioni?
“Ne ho un’altra con la compagnia ‘Mimesis Teatro’ di Pistoia, che lavora nella Valdinievole da un’eternità facendo laboratori nelle scuole e spettacoli. Sono entrata nella compagnia perché ho avuto un ruolo nello spettacolo ‘Antonino De Masi. Il potere dei senza potere’. Questa pièce è incentrata sulla figura dell’imprenditore calabrese De Masi che vive da anni sotto scorta perché cerca di contrastare la ‘ndrangheta e le realtà economiche che le girano intorno. La regia è di Rosanna Magrini e con me in scena ci sono Lorenzo Bartolini e Stefano Tognarelli.

Oltre al teatro c’è anche un po’ di cinema?
“Anche quello si è fermato per colpa di questo tremendo virus. Il film a cui ho preso parte s’intitola ‘il cacio con le pere’ ed è del regista pratese Luca Calvani che ha recitato nelle ‘Fate ignoranti’ di Ozpetek ed è conosciuto. È una persona straordinaria, di una dolcezza unica che non ti aspetteresti da uno come lui che ha fatto tanta televisione”.

Sto vedendo, in rete, che tra le tante cose che ha fatto ha pure vinto ‘L’isola dei famosi’ nel 2006.
“Esatto, ha dietro di sé tante esperienze, ed è una persona molto, molto carina”.

Ma il film si è bloccato?
“Si, ma uscirà presto perché è quasi pronto”.

Lei si considera un’artista? Ma cosa vuol dire essere un’artista?
“È difficile rispondere a questa domanda, ma non vorrei che noi attori fossimo considerati degli artisti perché in Italia l’artista è visto come qualcosa di superfluo, di assolutamente precario. A noi piacerebbe essere chiamati lavoratori dello spettacolo. che già la parola ‘lavoratore’ ti riporterebbe in un‘altra direzione rispetto ad altri termini. Chiunque può definirsi artista. Cosa differente è un lavoratore dello spettacolo: teatro, cinema. È più definitivo”.

Condivido in pieno. Essendo, però, un’attività precaria come la vive?
“Non posso dire bene, posso dire che è emozionante, stimolante, e comunque la precarietà fa parte del mondo d’oggi. Mettiamola così. Non siamo certamente gli unici che lavorano a progetto, a chiamata. Sicuramente quello che manca nel nostro mestiere, e che è venuto fuori con questo blocco pandemico, è la parte legislativa, il contratto nazionale di lavoro. E se c’è non è né rispettato né conosciuto. Mancano dei sindacati decenti, tutto quello che ci permetta di essere considerato una classe lavorativa. Il mio commercialista mi ha detto l’altro giorno: ‘Com’è frizzantina la tua situazione! L’errore è sempre dietro l’angolo’. Perché hai sempre datori di lavoro diversi, contratti diversi, nel caso ci siano dei contratti. E via dicendo. Ci sono stati, in realtà, tanti tentativi durante il lockdown di mettersi insieme. Ne sono nati di tutti i colori di gruppi che raccoglievano tecnici di palcoscenico, del cinema, attori. Il problema è che siamo tante tipologie nel variegato mondo dello spettacolo e abbiamo talmente tante necessità differenti che è difficilissimo fare massa. Così, appena la situazione ha ripreso a muoversi, ci siamo persi. Il tentativo c’è sempre, ci sono sempre tavoli di lavoro e c’è sempre qualcuno che a livello nazionale cerca di tirare le fila dell’intero discorso, ma si va maledettamente a rilento”.

È difficile fare teatro in Italia, soprattutto per una donna?
“Sì. Intanto perché le donne sono tantissime e i ruoli per le donne sono pochissimi. Non diciamo poi cosa voglia dire decidere di mettere su famiglia e fare un figlio. Io, per adesso, ho sempre lasciato perdere. Un po’ perché non ho mai avuto il bisogno di dire ‘Ah, ora mi fermo qua e metto su una famiglia’. No! Mi viene da aggiungere che non sono certo l’unica nel mio mestiere e nel mondo a prendere questa decisione. Chi l’ha fatto ed è stata senza dubbio molto coraggiosa avrà certamente subito una battuta d’arresto e poi avrà cercato di barcamenarsi come poteva per rientrare in pista”.

Il lockdown come l’ha vissuto?
“Allora, tutto il negativo lo sappiamo e non sto a ripeterlo. Per quanto mi riguarda mi sono trovata ferma a fare i conti sul mio mestiere. Perché alle volte sei un frullatore e magari ti butti nel primo progetto che ti capita per fare qualcosa. In quei momenti tutto era fermo e per me si è aperto uno scenario che non avevo mai preso in considerazione: il doppiaggio. Anche se qualcosa avevo fatto, prima, a Milano e a Pisa dove, per assurdo, mi sono ritrovata a fare la pubblicità del Teatro Verdi”.

Questo grazie alla voce, suppongo, e come si acquisisce una voce come la sua?
“Vuole sapere la verità? A posteriori mi sono accorta che tanto hanno fatto le insegnanti nei tre anni di scuola: Adele Pellegatta, Ambra D’Amico. La prima è la signora che ha dato la voce alla signora Rocher e diceva ad Ambrogio che aveva ‘non proprio fame, ma un certo languorino’.

Ma come ha sviluppato questa idea del doppiaggio?
“Nel 2019-20, a un certo punto, un po’ tardi perché io mi sveglio sempre un po’ tardi, ho deciso di iscrivermi ad una scuola di doppiaggio per completezza di formazione. Mi sono così iscritta ad una scuola di doppiaggio di Firenze diretta da Christian Iansante e Roberto Pedicini che sono due personaggi importanti nel settore. Per ora faccio la voce fuori campo negli studi di registrazione per le pubblicità, anche se ho recitato in una pubblicità in cui mi si vede reclamizzare una marca di patate”.

Anche i più grandi attori, del passato e del presente, si sono cimentati e si cimentano. nella pubblicità. Insomma, lei è una di quelle voci che si sentono nelle pubblicità radiofoniche e televisive?
“Esatto, quest’anno, tra le altre, ho fatto pure la pubblicità dell’amuchina”.

Nel precariato, quindi, bisogna allargare il raggio d’azione?
“Questa, però, è un’arma a doppio taglio perché poi ti ritrovi a fare tutto e corri il rischio di disperderti. Anche se, a dire il vero, in teatro devi saper fare tutto, dai costumi alla gestione delle luci, perché i soldi sono talmente pochi che più te la sfanghi da solo e meglio è”.

Che prerequisiti ci vogliono per fare gli attori?
“Direi essenzialmente tre: salute, salute, salute. Essendo un’attività senza ferie né assicurazioni, e in cui vai e basta, non star bene diventa un problema”.

L’esibizionismo aiuta sul palco?
“Direi una bugia se lo negassi, preferisco pensare che sia preferibile lavorare sodo. È difficile per un’esibizionista pura lavorare sul palco. Peter Clough dice che il teatro non è un posto per solisti, occorre un lavoro di squadra, anche se, a dire il vero, conosco colleghi che recitano dei monologhi dandosi le luci e i suoni direttamente dal palco, visto come siamo messi”.

Dopo tutto questo come definirebbe il teatro?
“Un bellissimo, impensabile, lavoro di squadra”.

L’ansia che ruolo ha nel suo lavoro?
“L’ansia fa parte di me. È una compagna del mio intestino, del mio stomaco, ormai è intrinseca”.

Non fa niente per combatterla?
“La melatonina è la mia migliore amica. Per dormire bene prima un amaro, e dopo una bella camomilla con la melatonina e sono a posto”.

Ha un testo teatrale che apprezza molto?
“‘Il dio del massacro’ di Yasmina Reza, mette a nudo le brutalità dell’animo umano”.

Tra gli attori e le attrici italiane ha dei miti?
“Sono tanti gli attori e le attrici italiane che stimo e ammiro. Se lei proprio insiste e m’impone una scelta potrei citare Toni Servillo tra gli uomini e Virginia Raffaele tra le donne.

Proprio ieri sera ho visto uno stupendo film, ”Aria ferma”, con Toni Servillo e Silvio Orlando…
“Anche lui è molto bravo”.

Ma perché i napoletani sono così bravi come attori?
“Forse è un loro retaggio culturale, forse sono più liberi di altri, genuini, autentici”.

Gradirebbe lavorare anche in televisione o al cinema?
“Lavorare nel cinema sarebbe fantastico. Pensare a questi confronti mi fa venire alla mente quella famosa citazione di Thomas Mann: ‘Il cinema vi renderà famosi, la televisione vi renderà ricchi, ma il teatro vi farà bene'”.

Ma le raccomandazioni servono per trovare lavoro?
“Sono utili, ma occorre perseguire l’obiettivo con tenacia per arrivare a realizzarlo”.

Un giorno questa tenacia potrebbe passarle?
“Penso di no”.

Non c’è un piano B, insomma, lei persisterà sempre in questa sua scelta?
“Non ce l’ho un piano B, sarebbe difficile trovarlo”.

Concludendo con la classica domanda sui programmi per il futuro, cosa ci dice?
“Si spera di riprendere tutti quegli spettacoli cui ho fatto riferimento rimasti congelati. Per fortuna, ora, stiamo in giro per l’Italia con la ‘Lisistrata’ di Aristofane dell’Arca Azzurra riadattata da Ugo Chiti, che ha in qualità di protagonista Amanda Sandrelli. In Toscana saremo il 4 Febbraio al teatro Moderno di Agliana, vicino Pistoia. Siamo già passati per alcuni teatri, ieri eravamo a Belluno, e li abbiamo trovati un bel po’ pieni. È stato inebriante riassaporare l’aria del palcoscenico”.

Grazie, e in bocca al lupo!

Ci salutiamo col calore dovuto a un incontro che ha lasciato ottime sensazioni.
Comprendo, salutandola, quanto Elisa Proietti sia fortunata viaggiando con una simile, grande passione che le riscalda la vita e le indica la strada. Il suo esempio ci mostra pure cosa significhi essere un “lavoratore dello spettacolo” come lei si definisce rifiutando, giustamente, la generica etichetta di artista. Ma di arte stiamo parlando, e volendo concludere col solito aforisma mi sovviene di scomodare, stavolta, addirittura il grande Marcel Proust, che una volta affermò: “Il mondo non è stato creato una volta, ma tutte le volte che un artista è sopravvenuto”. Grazie, quindi, Elisa, a nome di tutta la comunità.

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