Offese, sberleffi e persino botte che gli lasciavano segni evidenti sul corpo e ferite, ancor più profonde, nell’animo. Ha passato quattro anni così Andrea (nome di fantasia), un bambino della provincia di Grosseto. Fino alla minaccia di farla finita, impugnando nelle mani un coltello e dicendo alla mamma: “Basta, ora mi ammazzo”. Dopo una lunga battaglia legale la famiglia di Andrea ha ottenuto un risarcimento danni di 95mila euro per danni morali e materiali, come stabilito dal tribunale civile di Firenze. Condannato a pagare il ministero dell’Istruzione (che ha accettato la sentenza) e l’assicurazione dell’istituto scolastico (che ha presentato ricorso in appello).

Come scrive il Tirreno le violenze, sia fisiche che verbali, sono andate avanti ininterrottamente dal 2012 al 2016. Botte più o meno violente: calci, spintoni e persino pugni. Parole grosse all’indirizzo di Andrea: “Frocio, handicappato”. Quasi tutti i giorni sempre la stessa storia. La sua vita, a partire dalla terza elementare, diventa un inferno. A casa se ne accorgono? Sì, e inizialmente cercano di intervenire sentendo questo o quel genitore dei bimbi loro indicati come bulli. Questo metodo sembra funzionare, ma non è così. Le violente attenzioni di cui è vittima Andrea purtroppo non si placano.

Oggi Andrea ha sedici anni e, al di là dei problemi fisici (è disabile), continua a soffrire molto per i traumi subiti quando era piccolo. Ogni cosa lo spaventa, anche uscire per andare a fare la spesa in un negozio.

L’episodio più grave delle violenze subite, come scrive il Tirreno, avviene nel dicembre 2014. La maestra poco prima del suono della campanella si assenta un attimo per andare in bagno. In quel momento si scatena il pestaggio, con un calcio rifilato sulla faccia di Andrea, che finisce al pronto soccorso. Nel maggio 2016, invece, gli rompono una mano, dopo averlo fatto finire per terra. Questa volta i medici che lo prendono in cura si “accorgono” delle precedenti violenze subite e fanno scattare il cosiddetto “codice rosa”, un percorso di accoglienza dedicato a chi subisce violenza, che prevede aiuto psicologico e non solo. Dal racconto del bambino viene fuori la verità: sono i suoi compagni i “carnefici”. Inizia un lento e faticoso percorso di recupero, fatto di tante piccole cose. E anche la legge comincia a muoversi, fino alla sentenza in primo grado.

Suo padre non si dà pace: “Forse avrei dovuto toglierlo prima da quella scuola. Lui non si è ancora ripreso. A volte ha reazioni violente nei confronti della mamma”.

L’augurio è che Andrea, con l’aiuto degli specialisti e dei suoi nuovi (veri) amici, riesca a fare i conti con il passato e ad accantonare in un angolino nascosto della memoria la stupida violenza che ha dovuto subire. Sarà dura ma ce la può fare. Ce la deve fare.

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