– Ilaria Clara Urciuoli –
Apparenza e illusioni, ma anche realtà moltiplicata e memoria, contrasti, equilibrio ed eccessi, provocazioni, pensiero, umanità: così Shine, la mostra su Jeff Koons allestita fino al prossimo 30 gennaio a Palazzo Strozzi (Firenze) ci accoglie proiettandoci lentamente in un mondo al tempo stesso complesso e ordinato, all’interno del quale ripercorrere quarant’anni di attività di uno degli artisti più discussi, partendo dalle serie Inflatables (di cui si propone Inflatable flowers del 1978) e Pre-new (rappresentata da Nelson Automatic Cooker del 1979). Il tema centrale della mostra, curata da Arturo Galansino e da Joachim Pissarro, è racchiuso nella parola shine che qui assume una duplice valenza di lucentezza ma anche di apparenza.
Il visitatore non potrà fare a meno infatti di notare la centralità di entrambe queste accezioni nell’opera di Koons. Lucentezza, luminosità, brillantezza sono caratteristiche essenziali che si dipanano poi in riflettenza e quindi nell’inglobare osservatore e spazio espositivo in una realtà artistica. Ciò che luccica risulta naturalmente affascinante per l’uomo, biologicamente attratto dalla luce come qualunque altro essere vivente che di quella luce ed energia necessita per la sua esistenza. La luce dunque come dimensione atavica dalla quale siamo attratti e alla quale continuiamo a rispondere nella costante fascinazione mostrata per ciò che luccica (sia esso il riflesso del Sole sulle onde del mare che una delle tante vetrine di Ponte Vecchio). Tutto ciò risulta poi esasperato in una società votata al consumo e alla rapidità. La materia, la sua capacità di risplendere, è fulcro, cuore di molte opere di Koons già a partire dagli anni Ottanta. Di questo periodo è la serie Statuary di cui fa parte il celebre Rabbit, riproduzione dell’iconico coniglietto gonfiabile venduta due anni fa per 91,1 milioni di dollari (cifra mai raggiunta per l’opera di un artista vivente). L’acciaio inossidabile è protagonista povero di molte sue sculture: “È il materiale proletario – afferma – è ciò di cui sono fatte le pentole e le padelle… Questi oggetti non ambiscono a essere in un materiale davvero lussuoso. Le opere comunicano potere ed evitano il degrado”.
Il risultato sono oggetti luminosi, riflettenti, capaci così di restituire un’immagine nuova del visitatore che in quel riflesso può riconoscere la propria identità in relazione a uno spazio, anch’esso nuovo, più metafisico, rimodulato dalle curvature della superfice specchiante spesso convessa, quindi in grado di ampliare, aprire. Ciò che viene reso con grande evidenza e impatto è dunque l’importanza dell’osservatore che esiste in molteplici possibilità: in Balloon Venus Lespungue (Red) la femminilità, rappresentata in senso archetipo, si manifesta in curve esasperate e dunque in grado di frastagliare chi la guarda e quindi inevitabilmente si specchia. Il visitatore può così percepirsi nella pluralità di punti di vista, di un sé in sviluppo. “Il lavoro dell’artista – afferma ancora Koons – consiste in un gesto con l’obiettivo di mostrare alle persone qual è il loro potenziale. Non si tratta di creare un oggetto o un’immagine; tutto avviene nella relazione con lo spettatore. È qui che avviene l’arte.”
I palloncini, icona di allegria e leggerezza, ricordo collettivo di un’infanzia semplice e gioiosa, acquistano attraverso Koons solidità, peso, consistenza, longevità, si trasformano, anche grazie all’osservatore, in espressione artistica.
Emblema dell’illusione e della riflessione che inevitabilmente ne scaturisce sono lavori come Hulk (Tubas), reintrepretazione in bronzo del gonfiabile del personaggio della Marvel. Non sono più oggetti già fatti come nel ready made di Duchamp ma una riproduzione che fa apparire dozzinale una scultura complessa, dunque che inganna. In questo senso l’apparenza percepita dai nostri sensi è falsità (come spesso la filosofia sottolinea). Resta tuttavia lo strumento principe che ci permette di realizzarci come esseri sensibili quali siamo, per poi costruire ed elaborare l’astratto.
Ilaria Clara Urciuoli