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Scarti tessili di Prato finivano in mezza Italia e all’estero: sgominata banda. Al vertice ex consigliere comunale di Cascina

- Cronaca
9 Giugno 2021

Avevano messo in piedi un collaudato sistema di ritiro degli scarti della lavorazione tessile nelle aziende manifatturiere della provincia di Prato. Oltre diecimila le tonnellate di rifiuti raccolte. Nell’ambito dell’operazione “Tex Majhong” (che richiama il settore tessile, tex, e il famoso gioco d’azzardo cinese) scattata all’alba di oggi, l’intera filiera è stata scoperta e smantellata: disposte 8 ordinanze di misura cautelare, trentaquattro gli indagati, italiani e cinesi, a cui vengono contestati diversi reati a vario titolo. I più gravi: associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti su tutto il territorio nazionale e traffico transfrontaliero di rifiuti verso paesi dell’Ue.

Il riferimento al Majhong trae origine dall’attitudine degli indagati di cambiare di continuo le cose (come lo spostamento delle tessere del gioco) ogni volta che temevano di essere scoperti. Un mosaico criminale complesso quello che emerge dalle carte dell’inchiesta, la cui prima tessera fu scoperta nel corso di alcuni accertamenti svolti dalla polizia municipale di Prato nel 2018, quando all’interno di alcuni cumuli di rifiuti abbandonati a Cascina (Pisa) furono trovate etichette di abbigliamento provenienti da ditte di Prato. Grazie a un certosino lavoro di indagine sul campo gli inquirenti sono risaliti a tre persone, due italiani e una donna cinese, che si occupavano della raccolta dei rifiuti presso i vari pronto moda e confezioni di abbigliamento dell’hinterland pratese, mediante un apposito servizio di ritiro “porta a porta“. In seguito, dopo un fitto lavoro fatto di intercettazioni, appostamenti, pedinamenti e tracciatura dei mezzi mediante apparati satellitari, gli investigatori hanno individuato due filoni di smaltimento parallelo, uno sito nelle Marche, l’altro in alcune regioni del Nord Italia. Parte dei rifiuti sarebbero rimasti in Italia, parte all’estero, con documenti falsificati.

Tra le persone sotto inchiesta vi sono Alberto Rocchi, di Prato (ex consigliere comunale a Cascina, Pisa), secondo il gip al vertice dell’organizzazione; Paolo Bonistalli e la compagna Yanwei Chen (Eva), residenti a Castagneto Carducci (Livorno), quest’ultima avrebbe svolto un ruolo di raccordo con la comunità cinese di Prato; Qiang Wang (Davide) di Prato; Andrea Vena (Urbino); Maurizio Gabbianelli (Lecce); Roberto Curati (pugliese); Gianluca Vendrasco, residente a Pianoro (Bologna).

I rifiuti finivano in capannoni industriali dismessi, per cui veniva pagato il canone di locazione solo per i primi mesi e dove quindi gli scarti tessili, fatti viaggiare con documentazione che attestava la perdita dello status di rifiuto, senza che gli stessi fossero stati sottoposti ad alcuna delle attività previste dalla normativa, quali la selezione ed igienizzazione, e venivano abbandonati. Per raggiungere la loro destinazione finale i camion pieni di rifiuti venivano fatti viaggiare lungo strade secondarie, per evitare possibili controlli delle forze dell’ordine. Tutto il materiale di scarto veniva stipato all’interno di capannoni industriali, raggiungendo quasi il soffitto: vere e proprie bombe ad orologeria pronte a infiammarsi in ogni momento e privi di ogni requisito di sicurezza ai fini antincendio per i lavoratori che si trovavano a passare da quelle parti.

Sia i capannoni che i mezzi utilizzati per la raccolta presso le confezioni e/o i pronto moda cinesi avevano autorizzazioni inesistenti, clonate da altre aziende, o falsificate nella parte riguardante la possibilità di poter trattare i rifiuti tessili. L’illecito profitto stimato in circa un anno e mezzo di attività ha fruttato circa 800mila euro.

Le intercettazioni

“Tutto fattura? Mezzo e mezzo?”, chiedevano i membri dell’organizzazione agli imprenditori tessili cinesi, accordandosi sullo smaltimento illecito dei rifiuti. Alberto Rocchi rispondendo a un autista che gli chiede alcune informazioni sul lavoro da svolgere spiega: “Se mi fermano mi sequestrano il mezzo. Questo cliente non lo posso perdere, è quello più importante: i cinesi pretendono che gli porti via la roba, sennò vanno da un altro…”. In una conversazione a un’altra persona indagata dice: “Serve un camion da far stare qui dal lunedì al venerdì. Il lavoro è sicuro, i cinesi pagano tutti i giorni” . Il rischio di essere fermati per dei controlli e bloccati era (ed è) altissimo, per ovvie ragioni. Per farla franca il sodalizio avrebbe pensato di privilegiare strade secondarie. L’importante era far sparire in fretta la merce (rifiuti non trattati come si deve) e accontentare i clienti.

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