Turni massacranti, fino a 15 ore al giorno, conditi da punizioni pesanti se qualcosa andava storto: cinghiate sulle mani e schiaffi sulla testa. Erano trattati così i diciotto operai di una pelletteria di Poggio a Caiano (Prato), pagati 3 euro l’ora per una paga mensile, se tutto andava bene, di circa 800. Tutto in nero per cinque di loro, con un posto letto in uno squallido dormitorio, dove poter riposare qualche ora, ammassati uno sull’altro. Due imprenditori cinesi sono finiti nei guai con l’accusa di sfruttamento del lavoro ed evasione fiscale. Denunciati anche due imprenditori italiani, che in virtù di un accordo con un noto marchio di moda e, avevano commissionato in subappalto alla pelletteria di Poggio a Caiano la produzione di borse. Nei loro confronti è scattata una denuncia per concorso nello sfruttamento di lavoro. Sequestrati beni per un valore complessivo di oltre 900mila euro, tra cui una villa, alcuni terreni e macchinari.

Gli uomini della Guardia di finanza hanno appurato che la pelletteria incriminata era l’ultima subentrata in una lunga catena di ditte che si erano avvicendate (con nuovi nomi e nuove partite iva) al fine di non ottemperare agli obblighi fiscali.

Il blitz è scattato dopo la denuncia di un lavoratore africano, uno degli sfruttati. Insieme ad altri due colleghi si è presentato allo sportello di un sindacato per raccontare cosa accadeva in quel capannone. Durante la perquisizione la Gdf ha appurato che due operai cinesi, Yang Xiaoyan (Serena) e Que Jinbao (Saverio), suo marito, in realtà erano i titolari-sfruttatori, anche se, formalmente, la ditta era intestata a una terza persona, una prestanome cinese. Yang Xiaoyan è finita in manette, mentre il coniuge si trova in Cina. Denunciata la prestanome. Per gli inquirenti i committenti italiani (denunciati) “erano a conoscenza di come fossero trattati gli operai, ma hanno continuato a dargli le commesse”.

“Non vedi che hai sciupato la pelle con la colla?”. Dopo questa frase, pronunciata dai due cinesi finti operai, solitamente scattava la punizione fisica, più o meno violenta, nei confronti degli operai. È solo una delle tante scene raccontate dai lavoratori che hanno fatto scattare l’inchiesta della Gdf. Diciotto mesi per finire l’indagine. “È il tempo che si prende lo Stato – racconta la Filctem Cgil al Tirreno -. Mentre il sistema di produzione illegale corre a grande velocità, noi si cammina”. Nel frattempo gli operai nel settembre 2020 hanno perso il lavoro, licenziati per motivi disciplinari. Ma hanno impugnato il provvedimento.

 

Foto: Gdf

1 Comment

  1. Con molti ringraziamenti ai negrieri buonisti nostrani che li spingono con false promesse a venire da noi per sfruttarli e purtroppo anche utilizzarli come pezzi di ricambio umani.

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