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Quando il mondo si accorse di Gigi Buffon

- Sport
31 Marzo 2021

Paolo Lazzari

Socchiudete le palpebre e immaginate un rivedibile campetto di periferia. Poco lontano rimbalza lo sciabordio delle onde che si lavorano la costa. Qualche crocchio di gabbiani si esalta per un pesce che si contrae ancora scattoso in preda agli spasmi. Nel 1986, a La Spezia, c’è anche un profluvio di ragazzini che imperversa intorno ad un pallone: la squadra è il Canaletto e loro hanno otto anni. Certo, non lo fai di proposito, ma lo sguardo si appoggia su uno spilungone perché, a quell’età, la differenza anatomica con gli altri è notevolissima. Spalle larghe, braccia che sembrano propaggini tentacolari, leve che suggeriscono una falcata dirompente. Eppure Gigi, di ruolo, giostra in mezzo al campo. I piedi sono educati, il pensiero lungo, la visione periferica notevole. Passa al Perticata, a due passi da Carrara, dove è nato, poi se lo aggiudica il Bonascola. La porta scorrevole è dietro l’angolo, ma lui non ci incoccia il naso. La confidenza è già una una dote che intride naturalmente il sangue.

Il 13 giugno del 1991 il Parma compra Gianluigi Buffon: un mediano promettente, al punto che la cifra sborsata per un ragazzino nato nel ’78 può farti sussultare: 15 milioni di lire. Gesù, quel tredicenne deve saperci fare sul serio. Poi succede una roba strana. Passa un anno e, ad un certo punto, tutti i portieri ducali si infortunano in sequenza. E lui è alto, ha mani ampie, riflessi incendiari ed un sorriso sicuro. Gigi va in porta per un pittoresco incrocio del destino, senza sapere che da lì a tre anni esordirà in Serie A, a soli 16 anni.

Il nastro scorre rapido in avanti. Parma-Milan, 1995. Prova a scrutare la distinta dei giocatori senza sgranare gli occhi. Zola, Stoichkov, Dino Baggio. Il pallone d’oro Weah, Marcel Desailly – un basamento di granito – e Roberto Baggio, la classe al comando come approccio ermeneutico al calcio. Le cose stanno più o meno così: i gialloblu sono primi in classifica, come il Diavolo. Appaiati a 20 punti. In Emilia un sole caldo si estende come un balsamo sul Tardini, per far dimenticare almeno per un istante che comunque è il 19 novembre. Nevio Scala, il tecnico del Parma, ha un problema. Il portiere titolare, Luca Bucci, è fermo ai box. La scelta naturale dovrebbe ricadere sul suo secondo, Alessandro Nista, una carriera di tutto rispetto tra i pali di club come il Pisa e l’Ancona, senza dimenticare la singolare parentesi a Leeds. Invece Nevio decide di mettere in pausa il buonsenso e alza il volume dell’irrazionalità chimica, quella che se ne sbatte dei preconcetti. Gioca il ragazzino, punto. Gioca Gigi Buffon.

Diciassette anni, il monte Olimpo del calcio italiano – che all’epoca era ancora il migliore possibile – e trovarsi a dover sventare tutto contro una squadra cosmica come i rossoneri di Fabio Capello. Diciamoci la verità: per quasi chiunque l’ansia erompe nelle vene, le gambe diventano molli, i pensieri si offuscano. Solo che Gigi non è quasi chiunque. Il suo spirito è imperturbabile, duro e austero come il marmo della sua Carrara. Le mani altrettanto sincere e affidabili. L’attitudine a chiudere lo specchio quasi sfrontata. Buffon ha soltanto diciassette anni, ma non si piega ad alcun diritto divino: essere umano munito di poteri superiori, sfida – audace e impertinente – i giganti che provano a bucarlo. A fine gara se ne uscirà con la porta inviolata, grazie a tre parate semplicemente implausibili.

Primo tempo: imbucata dilaniante per Eranio che si ritrova da solo davanti a lui. Sembra fatta, ma il portierino esce in modo ruvido, inatteso, efficace, strappando i sogni di gloria pregustati ed infilandoseli in tasca. Il Milan però intende spuntarla e ricorre a tutto il suo armamentario. Boban tesse incantesimi ed avanza con passo cadenzato, ipnotico. Palla in mezzo per Baggio, ma Buffon esce coraggioso e tempista, impedendo un altro gol sicuro. Poi striglia la difesa, un blocco composto da gente come Cannavaro e Sensini, per dire. Il primo vero miracolo della sua carriera, tuttavia, giunge inesorabile nella ripresa. Marco Simone aggancia un pallone nell’area piccola, fa perno e conclude angolatissimo. Gigi toglie letteralmente la sfera dalla porta, opponendosi quasi innaturalmente ad una sentenza già emessa.

La gara finisce zero a zero. Il pubblico non crede a quello che ha appena visto. I giocatori del Milan sono trasecolati. Ai microfoni nel post gara, gli chiedono se il nonno Lorenzo – che faceva il portiere – gli ha dato consigli preziosi e come ha fatto a rimanere così calmo. “Lo dico non per immodestia – replica lui – ma non vado a chiedere in giro come si para. La mia serenità? Ho pensato che stavo giocando con la primavera”.

La strada è segnata: il mondo ha appena conosciuto un ragazzo spesso come il marmo di Carrara. Il miglior portiere dei prossimi vent’anni.

I Pulcini del Canaletto (1986). Buffon è il primo in piedi a sx (Wikipedia)

In Champions League contro il Malmö FF (2014) – Wikipedia

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