Paolo Lazzari

Pasadena pare quasi sobbollire, circondata dal calore dirompente dell’estate americana che si dipana sulla pelle ed asciuga i pensieri. L’uomo sul dischetto ha un codino che sfrigola sul numero dieci, stagliato sulla maglia azzurra. Sa che la sua conclusione determinerà il destino di un popolo intero, pronto a contorcersi tra le spire della disperazione o ad esultare dissennatamente. Chissà cosa pensi, in quel momento lì. Forse una mitragliata di immagini implausibili e disdicevoli, perché adesso dovresti riuscire ad annientare ogni rigurgito che non coincida con “devo fare gol”.

Forse, mentre sistema il pallone accuratamente, Roberto Baggio rivive anche un pertugio doloroso, che si apre quasi su un’altra estate. Quattro anni prima i moderni contorni a stelle e strisce si dissolvono per far entrare la grande bellezza del Rinascimento. Se però il 18 maggio 1990 ti trovi in piazza Savonarola, a Firenze, faresti bene ad allungare il passo. La scena è da autentica guerra civile: migliaia di tifosi viola protestano sotto la sede della Fiorentina e le forze dell’ordine faticano a contenerli. La rabbia che degenera è cicatrizzabile in una frase rapida, ma mortifera: “Baggio venduto alla Juve”. La famiglia Pontello, proprietaria del club, alla fine ha mollato la presa. Ma come si giunge alla guerriglia urbana?

Il caos collima con una dichiarazione del giornalista Cesare Castellotti che, in diretta sulla Rai, annuncia la cessione. In studio si affrettano a smentirlo, ma Castellotti è stato tutt’altro che avventato. Solo che la notizia è improvvida, impossibile da digerire per il popolo gigliato. Un’autentica pugnalata che si infila nello spazio lasciato tra le costole e imbeve di rabbia migliaia di coscienze. Per comprendere in profondità le ragioni di una rivolta popolare che si tradurrà in decine di feriti e in una sfilza di arresti, serve fare qualche passo indietro. Come quelli di Roby mentre si allontana per prendere la rincorsa.

Nel maggio del 1985 Baggio firma per la viola, lasciando la Lanerossi Vicenza. Soltanto un paio di giorni dopo si frantuma il crociato giocando contro il Rimini, allenato da Arrigo Sacchi. L’inizio di un calvario che tenta con tutte le sue forze di arginare l’ascesa di un predestinato. Ed è qui che, nella storia, fa irruzione una figura controversa, artefice principale della trattativa della discordia. L’uomo è Antonio Caliendo e, di mestiere, fa il procuratore. Il suo veto giunge inesorabile: è escluso che il suo giovane pupillo si operi all’ospedale di Vicenza. Lo toccherà soltanto il dott. Bousquet, conosciuto come “il mago” di Saint Etienne. Fateci caso, a questa scrupolosa presa di posizione, perché sarà soltanto la prima di una lunga serie.

Roby rientra dopo un’operazione che lui stesso sintetizzerà come “terrorizzante, mi sembrava di essere stato vittima di una mutazione genetica. Quando mi svegliai dall’anestesia la gamba era così piccola che pareva un braccio. Mi misero 220 punti interni. Duecentoventi”. Una sfiga cosmica, che proverà a circuirlo per tutta la carriera. Il talentuoso ragazzino riesce appena a disputare qualche scampolo in coppa Italia con la maglia viola che si infortuna di nuovo. Per il primo sigillo in Serie A bisognerà attendere il piazzato contro il Napoli di Maradona, nella stagione 1986-87. Da lì in poi l’ascesa di Baggio non conosce soste: danze e movenze che ipnotizzano le retroguardie di turno, gol anche solo difficili da ipotizzare per chi è abituato a crogiolarsi nell’ordinario, assist telecomandati e giocate sontuose. Firenze che diventa casa. Un amore reciproco che erompe e cosparge l’anima. Il fidanzamento sembra solido, inscalfibile. Ma come spesso accade quando qualcuno emette troppa luce, frotte di occhi iniziano ben presto a spalancarsi tutto intorno.

Nei primi mesi del 1990 la Juventus decide di fare un primo sondaggio, ma trova parcheggiata in mezzo alla strada, di traverso, la tracimante irruenza del Milan di Berlusconi e Galliani. Quei due, infatti, avrebbero già un accordo verbale con Caliendo. Se uno assecondasse i rumours, l’offerta rossonera si attesterebbe intorno ai 2 miliardi delle vecchie lire. Agnelli, tuttavia, decide di replicare sfoderando l’artiglieria pesante: 25 miliardi. Touché. Il velleitario tentativo del Diavolo viene sostanzialmente disintegrato. Nessuno aveva mai osato tanto prima di allora. Nessun giocatore nella storia del calcio italiano ed europeo è mai stato pagato una cifra simile. Chiunque vacillerebbe al cospetto di un’offerta monstre di siffatte proporzioni. A maggior ragione i Pontello, che meditano ormai da tempo di cedere la Fiorentina.

Eppure, all’origine di un affare vorticoso c’è molto di più di un folle esborso economico. L’intreccio involge interessi che svettano ben oltre il rettangolo verde: la politica e la necessità di sviluppare affari reciprocamente convenienti tra due grandi famiglie di imprenditori. La notizia della possibile cessione intanto inizia a filtrare. Baggio la apprende, quasi incredulo, e rilascia una dichiarazione tranciante alla stampa: “Non vado alla Juve, resto a Firenze, lo scriverò anche sui muri”.

Nel frattempo però una macchina molto più grande di lui si è messa in moto e non accetta di arrestare la sua corsa. Il Collettivo Autonomo Viola, annusato il pericolo, scende subito in strada con 5mila esponenti per protestare in modo vibrante. Gianni Agnelli, tuttavia, predispone un tavolo con Berlusconi, Galliani e Cesare Romiti: si parla di business, di interessi comuni e, naturalmente dell’acquisto di Baggio. Silvio decide di tirarsi indietro e, d’accordo con Caliendo, la parola data al Milan diventa carta straccia. Adesso quella che sembrava una trattativa impossibile comincia a stagliarsi in sottofondo come opportunità reale.

Del resto, la famiglia Pontello ha diversi motivi per cedere alle lusinghe della Juve: la cifra monstre messa sul piatto, la volontà di vendere il club da lì a poco e, probabilmente primo punto in ordine di importanza, un importante giro di affari in essere proprio con Agnelli che non può essere incrinato per un giocatore, anche se si tratta di Baggio. I Pontello, infatti, possiedono una grande società edilizia impegnata nella costruzione di un aeroporto a Manila: per questo lavoro sono in partita insieme a Cogefar, una società del Gruppo Acqua Marcia, da poco passato sotto Fiat.

Così il dado è tratto. Baggio è il primo ad essere stupito: firma per la Juve contro la sua stessa volontà e dichiara, subito dopo, che chi ci perde veramente all’esito di questa grottesca situazione sono i tifosi viola. Il 17 maggio Caliendo organizza in fretta e furia una conferenza di presentazione in bianconero, ma Roby si rifiuta di indossare la sciarpa della Juve. Sarà soltanto il primo di una lunga serie di episodi, dalla sciarpa – stavolta viola – raccolta al Franchi, al rifiuto di calciare un rigore contro la sua ex squadra. Perché a Torino arrivano altre giocate sontuose ed un Pallone d’oro, ma i sentimenti – quelli veri – non si comprano.

A Pasadena la sfera si impenna sopra la traversa. Il divin codino abbassa il capo. E chissà che, rimescolando le mani tra pensieri tetri, non sbuchi fuori solo per un istante il ricordo di un amore vero finito troppo presto.

 

Foto: Wikipedia

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