Jacopo Vagaggini, lei ha 30 anni ed è un enologo di terza generazione. Come pensa sia cambiato il mondo del vino, rispetto a chi nella sua famiglia l’ha preceduta in questa esperienza?
Credo che il mondo del vino si muova come una spirale. Il punto zero rappresenta gli inizi dell’enologia moderna, in cui si guardava al vino con un approccio molto naturale, quasi spontaneo. La ricerca scientifica e l’avanzamento tecnologico hanno portato ad un innalzamento della qualità del vino, diventato però più artificioso, con tanta chimica e intervenzione umana. Il viaggio nella spirale sta tornando vicino al punto di partenza, ma su un livello superiore. L’approccio al vino ricomincia quindi ad essere più naturale e rispettoso, sostenuto però dalle conoscenze e dai progressi compiuti.

Lei ha studiato a Oxford poi ha fatto esperienze in Francia e in Argentina. Poi il ritorno in Toscana. Quale percezione si ha, nel mondo, della nostra terra e, in particolare, della Toscana?
L’Italia e, soprattutto, la Toscana rimangono per tanti un sogno. Paesaggi unici, corredati da una cultura bellissima, anche a livello enogastronomico. Non c’è cuore che un buon piatto di pasta al dente ed un buon bicchiere di vino non possano conquistare…

C’è un vino che le è entrato nel cuore? Per quale ragione?
Sicuramente il Malbec argentino, soprattutto quello della regione Gualtallary. L’amore per il Malbec nasce a New York, dove spesso andavo a trovare mio fratello che lavora lì come medico. Mangiando spesso nelle steak house ordinavo quasi sempre Malbec, il perfetto alleato della carne. Ad ogni bicchiere rimanevo estasiato dal colore denso, dal profumo fruttato e speziato, dall’intensità e dalla grassezza di ogni sorso.

Su alcuni articoli ho letto che lei per le sue vigne lei prevede nessuna lavorazione del terreno, ossigenazione naturale degli impianti ad alberello e nessun trattamento. In altre parole la vite se la cava da sola. Ci spiega su cosa si basa questa teoria e che risulti produce?
Si tratta di un vigneto sperimentale ad altissima densità (20.000 ceppi per ettaro), dove la grande competizione per l’acqua e le sostanze nutritive pone le piante in condizione di forte stress. L’obiettivo è quello di esaltare le innate capacità delle viti, troppo spesse indebolite dalla viticoltura moderna, che solo in condizioni difficili riescono a tirar fuori il meglio di sé. Il risultato è sorprendente: le viti riescono ad autogestirsi, senza necessità di trattamenti chimici ed interventi meccanici. Le uniche lavorazioni eseguite sono la potatura invernale e la legatura dei tralci in primavera, niente più. Come disse John Beluschi: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare!

Spesso si sente dire che un bravo enologo è capace di produrre un ottimo vino ovunque, nel mondo, intervenendo/correggendo laddove è necessario. Lei, se non sbaglio, cerca di intervenire meno possibile dal punto di vista chimico e meccanico. Quali rischi ci sono, con questo suo approccio, e quali vantaggi?
Io sono un biologo in pectore: utilizzo quel che serve, quando serve e quanto serve. È innegabile che per fare qualità bisogna prendersi dei rischi: spesso lasciare maturare l’uva una settimana in più, sfidando il tempo, può rivelarsi la chiave vincente per un grande prodotto. Si tratta però di un rischio calcolato; lascio che il vino faccia il suo corso senza mai perderlo di vista. Un po’ come una leonessa lascia che i suoi cuccioli si allontanino ma rimane sempre guardinga.

Lei lavora nell’azienda di famiglia, Amantis, in Maremma. Ci può descrivere il luogo? Una volta (ci auguriamo presto) superati i problemi del Covid, quanto può essere importante il turismo enogastronomico per le realtà come la sua ed altre, non solo in Toscana ma anche in altre zone d’Italia?
Amantis si trova in un luogo mozzafiato, quasi lunare. L’Azienda si trova alle pendici del vulcano spento del Monte Amiata, che ne permea fortemente il paesaggio, il clima ed il suolo. Il terreno è ricco di rocce vulcaniche e ci sono grandi sbalzi termici tra giorno e notte, dovuti all’aria fredda che scende dal vulcano. Avendo una produzione contenuta ed essendo luogo di tante sperimentazioni, l’Azienda non ha mai sviluppato un vero polo enogastronomico, che rimane comunque un elemento molto importante per un’azienda vinicola. Un vino assaggiato nel suo luogo di produzione, dove si respira l’impegno, la dedizione e la passione del produttore, ha un gusto completamente diverso…

Progetti futuri? Ci può indicare un’esperienza che le piacerebbe fare?
Un giorno vorrei approfondire la tecnica delle bollicine. Si tratta di un mondo un po’ a sé, ricco di segreti che i grandi produttori si tramando da generazioni e che rendono unici i loro prodotti. Chissà, un giorno forse mi rimbocco le maniche e faccio una vendemmia nello Champagne!

Vuole aggiungere qualcosa per i nostri lettori?
Un consiglio per tutti i consumatori: siate curiosi, assaggiate tutto ciò che il Bel Paese ha da offrire senza soffermarsi troppo sulle etichette e sui preconcetti. L’Italia possiede più di 500 varietà autoctone, ciascuna delle quali porta con sé un tassello della nostra bellissima cultura.

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