Paolo Lazzari

Mettiamola così: se nella vita ti ritrovi a giocare a calcio accanto a gente del calibro di Maradona, Batistuta e Beppe Signori, probabilmente qualcosa di buono devi averlo combinato. Merito di un talento innato, certo, ma anche delle indicazioni mirabilmente passate da due maestri con gli ammennicoli: il guru Ottavio Bianchi ed il purista Zeman.

La storia di Francesco Baiano – per tutti “Ciccio” – comincia a Napoli, la sua città, a metà degli anni ’80. Scugnizzo di razza, gioca come attaccante esterno: il suo baricentro lo rende inarrestabile nell’uno contro uno e lui matura fin da subito anche una certa confidenza con il gol. Il ragazzo ha stoffa e carattere, ma se davanti hai dei mostri sacri come El Pibe de oro, Careca, Carnevale e Bruno Giordano, ritagliarsi uno spazio diventa una missione improba. A 17 anni, comunque, indossa la maglia azzurra e scende in campo nel tempio del calcio: il Santiago Bernabéu.
Tuttavia la concorrenza è già un tritacarne in azione e, prima di farsi ingurgitare, Ciccio fa i bagagli per evitare di eclissarsi marcendo in panchina. Il primo giro di giostra fuori da casa si chiama Empoli, il battesimo con quella Toscana con la quale la carriera e la vita di Francesco si legheranno a doppio filo. Il mister gli dà fiducia, lui mette via un buon bottino di gare (26), ma la vena realizzativa non è ancora esplosa: solo due centri in stagione lo consegnano ad un rapido rientro in Campania, giusto il tempo per premere di nuovo insieme i vestiti e partire alla volta di Parma. Le cose, anche in terra Ducale, vanno più o meno allo stesso modo: venticinque partite e solo quattro centri. Sembrerebbe sufficiente per sentenziare che Ciccio non è un bomber e invece no. L’Empoli decide di puntare di nuovo le proprie fiches su di lui e stavolta sbanca: Baiano gioca tantissimo (38 gare) e finalmente la confidenza con la porta si stappa: 14 gol e il ruolo di leader conquistato a forza di prestazioni in una squadra che, malgrado la sua verve, retrocederà in C1 a fine anno.
La tappa della consacrazione coincide con Foggia: il calcio ultraoffensivo dI Zeman, per lui, significa quasi salotto di casa. In trio con Rambaudi e Signori farà letteralmente sfracelli, contribuendo in modo decisivo all’accostamento del termine “miracoli” con quella compagine. L’esplosione alla corte del boemo gli garantisce i riflettori di mezza serie A puntati in fronte: alla fine la spunta la Fiorentina di Vittorio Cecchi Gori, quella che può vantare talenti come Laudrup, Effenberg e Batistuta. Le premesse appaiono esaltanti, ma in riva all’Arno si consuma uno psicodramma. Dopo un girone d’andata stabilmente condotto nelle prime posizioni della classifica – complice un inspiegabile cambio alla guida tecnica – la viola crolla. Un harakiri talmente intenso e complesso da trascinare tutti nel baratro, Ciccio compreso: l’impossibile – specie scorrendo i nomi altisonanti in rosa – diventa reale. La Fiorentina sprofonda in serie B. Segnatevi questo passaggio, perché l’uomo ha sempre contato più del calciatore: Baiano decide di rimanere anche tra i cadetti e, insieme a Batigol, riporta il club in serie A. Rimarrà in totale per 5 anni e, al fianco del Re Leone, del genio lusitano Manuel Rui Costa e del cecchino Lulù Oliveira contribuirà a scrivere pagine indelebili nella storia gigliata, conquistando una coppa Italia ed una supercoppa.
Il talento però non accetta quasi mai le briglie della quotidianità. Così ad un passo dai trent’anni è tempo di fare di nuovo le valigie, per affrontare una nuova sfida: Premier League, Derby County. Il 1 agosto 1997 – per il modesto compenso di 650mila sterline – sbarca in Inghilterra. La città è in subbuglio per la gioia, Ciccio è destinato a comporre una coppia atomica con l’altra stella del club, il costaricano Paulo Wanchope. Ad attenderlo c’è anche un altro italiano, Stefano Eranio, arrivato a giugno. Baiano mette via una prima stagione giocata su alti livelli, condita da gol e assist mai banali, mentre fatica un po’ nella seconda. La storia racconterà di 50 presenze e 16 gol in Gran Bretagna, ma l’asetticità dei numeri non è capace di testimoniare davvero l’affetto autentico dei Rams, che lo eleggono a beniamino per quel modo sfrontato di intendere la vita come le partite di calcio. Una fiamma che ha sempre arso con prepotenza dentro alle vene dei veri geni.
La carriera di Ciccio volge verso il suo epilogo: il sipario si appresta ad essere srotolato, ma c’è ancora qualcosa da dire. All’inizio del nuovo millennio, dopo un passaggio a vuoto alla Ternana, ecco il gran finale nella terra che gli ha regalato tante gioie, la Toscana. Due anni alla Pistoiese, giusto il tempo per rifarsi un giro in serie B e contribuire con 22 reti infilate dentro una cinquantina di presenze da protagonista, lui che con la sua classe in quella categoria insegna calcio su una gamba sola. Quindi si scende ancora, ma senza lasciare la regione: Sangiovannese, C2, lo spartito che non cambia: quasi novanta presenze, più di trenta sigilli. L’ultimo capitolo è alla Sansovino, nel 2008: Ciccio adesso è davvero arrivato al capolinea, ma fa comunque la sua figura quando scende in campo. Un legame intenso, quello con la toscanità, che proseguirà ininterrotto, fino ad accompagnarlo anche nelle sue esperienze da collaboratore tecnico prima ed allenatore poi.
Foto: Wikipedia
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