Paolo Lazzari

Diventare allenatori di calcio, a volte, assomiglia molto a farsi un giro di giostra dentro le pieghe della divina Commedia dantesca. C’è il momento in cui te ne stai su in Paradiso – a contemplare tutti dall’alto con tanto di binocolo ed il sorriso cucito di chi è riuscito a spuntarla – e quello in cui ti inabissi tra i terreni paludosi del purgatorio. Qualcuno spesso scivola ancora più giù, inghiottito dalle fiamme dell’inferno sportivo.

Montagne russe emozionali che Corrado Orrico – l’uomo venuto da Massa, 80 anni compiuti quest’anno – conosce in ogni curvatura e pendenza. L’omone, il soprannome che gli viene propinato da generazioni di calciatori e addetti ai lavori, è sicuramente un personaggio singolare, atipico. Il motivo? Tutti lo rammentano con grande affetto, anche dove ha fallito: citofonare a Udinese e Inter, tanto per dire. Un appeal, specie tra i tifosi, che è probabilmente da imputarsi a quel modo di fare del tutto schietto, a quella voglia di metterci la faccia sempre, senza nulla lasciare all’immaginazione.

Un’altra componente che concorre a gonfiare la sua epica, fino a farle assumere proporzioni spesso distoniche, risiede in quel suo bagagliaio tracimante di idee tattiche e metodi di allenamento rivoluzionari per l’epoca. Poco importa poi, se la maggior parte di quelle inedite e lucide visioni siano state coltivate con vero successo soltanto nelle categorie minori: la gente resta spesso impigliata al concetto, più che nell’azione.

Corrado intuisce in fretta che il suo futuro è in panchina: a soli 26 anni riveste il doppio ruolo di allenatore – giocatore nella Sarzanese e già in quella porzione di esistenza, gli occhi dentro il campo e non al bordo, sfoggia doti fuori dal comune. Capisce dove andrà a finire la palla quando l’azione ancora deve iniziare, vede corridoi luminescenti là dove sembrano ergersi soltanto staccionate, conosce la ricetta per far rendere al massimo i compagni. Il suo lungo percorso in panchina inizia così, alla guida di una formazione ligure in serie D. Seguiranno plotoni di squadre: la più gettonata sarà la Carrarese (che lo vedrà in sella per ben 7 volte), seguita dalla Lucchese (in 3 diverse stagioni) e, in ordine sparso, Camaiore, Avellino, Prato, Massese, Treviso, Gavorrano, Siena, Alessandria e Empoli.

A differenza di chi ha spesso solcato soltanto le categorie minori aspettando invano una lettera per il paradiso che si è persa per strada, Corrado indovina per due volte la grande occasione. Il suo gioco innovativo ed a tratti sfrontato, le promozioni conquistate in serie, attirano l’interesse dei club di serie A. La prima a scommetterci è l’Udinese, ma l’impatto con il palcoscenico dei grandi non è dei migliori. Orrico porta con sé un metodo d’allenamento fortemente imperniato sull’intensità: la celebre “gabbia” pensata e realizzata durante la sua prima esperienza a Carrara è l’esempio più fulgido di questo credo. Lì dentro, in un recinto fisico e metaforico di quattro muri, la palla non può mai uscire né fermarsi: l’agonismo spasmodico viene eletto a virtù imperante, unito tuttavia alla necessità di accelerare pensieri ed azioni. Un disegno che, a Udine, si traduce in affresco deturpato: passano 22 gare e Corrado viene licenziato.

Dopo un nuovo esilio di sei anni nelle serie minori arriva però l’occasione della vita: l’Internazionale. Nel 1990, dopo un incredibile exploit alla Lucchese, Orrico viene selezionato dal presidente nerazzurro Ernesto Pellegrini per sostituire un totem: Giovanni Trapattoni. La Milano nerazzurra accoglie benevola il nuovo condottiero, individuato come la risposta al già dilagante Milan di Arrigo Sacchi e Berlusconi, quello che con l’avvento degli olandesi andrà a conquistare ogni cosa. “Se sono la risposta a Sacchi? Certo, ma con la differenza di uno stipendio da operaio, per essere in sintonia con il partito che ho sempre votato”, dichiara alla conferenza stampa di presentazione. Le premesse tuttavia sono traditrici: l’Inter, detentrice della coppa Uefa, esce dalla competizione al primo turno. Non va affatto meglio in campionato: dopo la sconfitta per 1-0 contro l’Atalanta nell’ultima del girone d’andata, Orrico rassegna le dimissioni. La Beneamata, traghettata da Luis Suarez, finirà addirittura ottava, fuori dalle coppe. Il principale capo di imputazione diventa la difesa a zona, credo del tecnico di Carrara mal deglutito dal blocco interista secondo gli addetti ai lavori.

Il suo è un saliscendi emozionale che non risparmia la vita privata: Corrado dovrà sopportare anche l’immane tragedia del suicidio del figlio, Orlando. Discusso, criticato, ma mai odiato: autentica fino al midollo, la sua figura resta scolpita nella memoria collettiva allargando sorrisi. Forse perché a lui è riuscito il gioco di prestigio più difficile della serata: rimanere sempre sé stessi, qualunque sia la posta in palio.

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