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Il teatro per crescere e prevenire il disagio

- Cultura, Interviste
18 Febbraio 2020

Guido Martinelli

Pisa è sempre stata una città molto attiva dal punto di vista teatrale. Lo storico Teatro Verdi da secoli mette in scena il meglio delle proposte teatrali italiane oltre a offrire, da una trentina di anni, qualificate proposte di formazione teatrale ai giovani delle scuole cittadine e ad adulti interessati a conoscere i meccanismi della macchina teatrale calcando in prima persona il palco. Ma esiste poi un sottobosco, anche qualificato, di gruppi e persone che sperimentano con successo e in vari ambiti le molteplici possibilità del linguaggio teatrale. La tematica m’interessa personalmente dato che, dai tempi del Paleolitico Superiore in cui attraversavo gli anni imberbi della gioventù, ho dedicato parte del mio tempo, occupato anche da altre molteplici attività dato che la vita è una tavola imbandita ed è un peccato non dedicare un po’ di attenzione a tutte le succulenti pietanze apparecchiate, a tale nobile forma artistica.

Per divertimento e passione ho ricoperto così vari ruoli in questo settore senza aver mai avuto la sensazione e l’ambizione di essere un’artista, ma traendone soprattutto un beneficio dal punto di vista caratteriale che mi ha convinto della bontà di una simile proposta. Ma non sono qui con intenti autobiografici bensì descrittivi dell’ambiente teatrale pisano.

Voglio, infatti, realizzare un viaggio nel mondo del vivace teatro cittadino illustrando tutte le più variopinte testimonianze teatrali di quanto e come il teatro possa migliorare la vita individuale. Come supporto teorico a tale affermazione potrei chiamare in causa persino Aristotele, non la Zoppetta di Montenero, che già millenni fa disse, e non per chat, che la messa in scena attiva, con il processo di identificazione, la partecipazione alle gesta dei personaggi facendo scaturire così un processo di purificazione interiore, che i greci chiamavano “catarsi”, capace di liberare la psiche da tutte le più importanti ambasce.

Essendo poi un docente di Lettere (non cartoline come celiava un mio collega buontempone) presso la Scuola Secondaria Inferiore interessato al teatro scolastico di cui mi sono occupato negli ultimi venti anni organizzando oltre ottanta laboratori come centinaia di colleghi anche più bravi di me, parto da questa stazione. Specificando, per quel che mi riguarda, che prima e durante questo percorso in campo teatrale ho svolto anche un ricco percorso di formazione con operatori teatrali qualificati che, a mio modesto avviso, è la conditio sine qua non prima di lanciarsi in qualsiasi avventura. Perché le cose vanno affrontate con cognizione di causa e l’improvvisazione, in tutti i campi, non porta a buoni risultati.

La prima voce che decido di ascoltare in questo viaggio la incontro nei locali del Cinema Teatro “Nuovo”, gestito dal Dopolavoro Ferroviario guidato da Enzo Scanniffio e diretto per la parte teatrale da Carlo Scorrano, che nel corso degli ultimi anni ha dimostrato di essere una realtà molto viva e dinamica degna di attenzione e rispetto. Qui si sta svolgendo un corso di aggiornamento sul teatro d’ombre tenuto da un’autorità in materia: Mariano Dolci. Il corso è rivolto ad operatori sociali e insegnanti su cui tornerò, ma intanto ho di fronte a me un’operatrice teatrale interessata ad agire per prevenire il disagio in ambito scolastico e sociale e passo ad introdurla.

Come dico sempre agli intervistati, presentati…
Mi chiamo Giulia Nasini, risulto nata a Pietrasanta ma al terzo giorno di vita ero già a Viareggio dove ho vissuto fino al 2008, quando mi sono trasferita a Pisa. Sono sposata con Ferdinando Falossi che è un ottimo mascheraio che costruisce maschere filologiche della tragedia e commedia greca, e sono madre di Marta di 4 anni e Riccardo di 8. Ho iniziato il mio rapporto con il teatro al Liceo Classico viareggino ”G. Carducci” grazie ad un’insegnante meravigliosa, Antonella Padolecchia; parallelamente seguivo un corso di teatro al “Piccolo Teatro”di Federico Barsanti in un teatrino vicino a Viareggio. Nel mio processo di crescita come operatrice teatrale ha ricoperto un ruolo importante Luana Ranallo, una professionista del settore molto brava. Grazie a queste esperienze è esploso il mio amore verso il teatro ma non mi è mai interessato fare l’attrice bensì comprendere come avveniva il processo creativo.

Cioè?
Volevo comprendere come nasce un testo teatrale e per quello mi sono successivamente laureata all’Università di Pisa nel corso quinquennale di laurea di discipline dello spettacolo.

Mi dicevi di essere un’operatrice teatrale e per quello ti chiedo di spiegare meglio gli ambiti in cui intervieni.
Sono operatrice teatrale scolastica dal 2008 e dovrò iniziare dei laboratori in due scuole dell’Infanzia a Santa Croce sull’Arno e a Pietrasanta, a Strettoia

Concludi di solito i tuoi laboratori con saggi-spettacoli finali?
Sono dell’opinione di chiudere le esperienze con un “esito” che varia a seconda delle ore a disposizione del laboratorio. Se, per esempio, ha solo 12 ore l’unica cosa che puoi fare è una lezione aperta ai genitori e alle altre classi in cui mostri ciò che hai fatto in quelle ore ed è importantissimo perché, soprattutto con i più piccolini, tu devi chiudere un cerchio. Quando le ore a disposizione per le attività sono maggiori ed hai quindi più tempo puoi permetterti di proporre un prodotto più accurato. E’ importante, a mio avviso, far provare ai ragazzi l’ebrezza di stare davanti a un pubblico sia pur in modo tranquillo e se qualcuno ha troppa paura accetto senza problemi che non lo faccia.

L’associazione con cui lavori qual è e come nascono questi progetti?
L’associazione in cui ricopro il ruolo di formatrice è la versiliese “IFPrana” che è molto qualificata e attiva nella produzione e formazione teatrale. Generalmente le scuole indicono bandi per esperti di teatro cui noi partecipiamo e se vinciamo lavoriamo. In genere, il tipo di lavoro che propongo è sul corpo, utilizzo pochissimo le parole e principalmente suoni. Lavorare sul corpo significa esplorare, attraverso i giochi, le infinite possibilità espressive che il nostro corpo ci offre. Significa prendere coscienza del nostro e del corpo altrui perché viviamo in stretta relazione/contatto con “chi non sono io”

Come lo sviluppi?
Se non ci sono particolari richieste dagli insegnanti propongo un laboratorio sugli elementi (aria/acqua/terra/fuoco) che significa capire la “qualità” di quell’elemento, L’altro tema che di solito presento e che mi viene chiesto spesso verte sulle emozioni, in particolare la rabbia, che è un sentimento che i piccolini dell’infanzia esperiscono e conoscono bene. Tutto ciò, ovviamente, attraverso giochi teatrali di gruppo.

Gli obiettivi che persegui e di solito raggiungi con i laboratori quali sono?
Il teatro a scuola è fondamentale per migliorare aspetti basilari dal punto di vista extracurriculare perché, se ben fatto, ti rende più consapevole e capace di ascoltarti e ascoltare gli altri, t’insegna a metterti nei panni altrui, ad aumentare l’autostima e fiducia in se stessi. Per non parlare dello sviluppo di quelli che gli psicologi chiamano il pensiero divergente ovvero il pensiero che sviluppa la creatività in senso lato. Certamente, la creatività viene molto stimolata.

Mi hai detto poco fa che ti interessi anche di teatro terapia, altra modalità artistica per prevenire il disagio, che trovo molto interessante, come ti sei avvicinata a questa modalità teatrale?
Durante gli ultimi anni di Università frequentai il Teatro “Politeama” di Cascina allora diretto da Alessandro Garzella che, insieme al regista Fabrizio Cassanelli, ha elaborato un metodo che si chiama “Il gioco del sintomo”, molto bello e lungo da descrivere qui ed ora, che mi ha stimolato. Infatti, partecipai, in quegli anni, ad un convegno organizzato lì sul teatro nei luoghi del disagio come centri diurni per disabili, casa famiglie, case di riposo, pazienti psichiatrici, detenuti. Quest’ultimo ha nell’opera del famoso drammaturgo e regista Armando Punzo che negli ultimi anni ha realizzato grandi cose nel carcere di Volterra. In quell’occasione ho compreso come la mia vocazione per un teatro utile a prevenire il disagio fosse solida, concreta. Successivamente mi sono iscritta ad una scuola triennale di Teatroterapia diretta da Walter Orioli e di cui Roberto Motta è uno dei più importanti docenti, e mi manca solo la laurea per completare il percorso di studi.

Spiegamela questa terapia teatrale, mi incuriosisce…
La prima cosa da dire è che si chiama il teatroterapia o la teatroterapia secondo se si conferisce più importanza al teatro o alla terapia. Terapia è una parola greca che vuol dire prendersi cura e quindi il teatro si prende cura delle persone. Praticamente si tratta di andare in un gruppo non con un copione e parti da distribuire ma di provare a creare all’interno di quel nucleo un processo attraverso il quale si permette all’utente di far parlare quelle voci interiori che di solito sono silenti. Quindi tu dai delle possibilità espressive diverse rispetto a quelle che conosci di solito. Ci vuole molta pazienza perché i risultati non sono immediati, anzi sono piuttosto lunghi e occorre molto tempo prima che si possano riscontrare dei significativi cambiamenti. Certamente per fare teatro con pazienti psichiatrici ci vuole un’equipe qualificata di psichiatri, psicologi e operatori sociali di supporto all’operatore perché il teatro tocca delle corde molto delicate e se non ci sono operatori pronti ad aiutare il paziente si rischia di non saper contenere ciò che si provoca. Ovviamente nei laboratori coi bambini certe corde così profonde si ignorano, sia perché le ore d’intervento sono limitate sia perché con i più piccoli non è interessante toccare zone interiori profonde.

In cosa consiste, praticamente, la terapia teatrale?
Nella messa in scena dei propri vissuti all’interno di un gruppo con il supporto dei principi di presenza scenica derivanti dall’arte dell’attore. Con questo s’intende l’educazione alla sensibilità e alla percezione del proprio movimento corporeo e vocale .Si agisce con la rappresentazione di personaggi principalmente improvvisati ma con un minuzioso lavoro per-espressivo indispensabile alla creazione di quell’altro da sé che rende possibile e consapevole la relazione terapeutica. L’obiettivo della seduta di teatroterapia è di rendere armonico il rapporto tra corpo, voce, mente e spirito nella relazione con l’altro, gli altri, sé stesso e la propria creatività interpretativa. Ci credo molto e penso che vi dedicherò molto del mio tempo teatrale futuro.

La chiacchierata finisce qui dato che Giulia è richiamata al dovere, ma con la sua partenza non scema l’interesse che le sue parole suscitano, e per chiuderla per il momento mi viene il desiderio di resuscitare un antico aforisma di Victor Hugo sul teatro che mi pare adatto alla bisogna. “Il teatro è il paese del vero: ci sono cuori umani nelle quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco”. I cuori, appunto, quando ci sono dei cuori che battono c’è la vita. E il teatro è lì dove la vita batte.

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