Il Tirreno ha intervistato la mamma del ragazzino di Siena che ha fatto scoppiare l’inchiesta sulla chat dell’orrore che vede indagati 25 ragazzi in tutta Italia. Racconta che tutto è cominciato lo scorso aprile, quando ha preso lo smartphone del figlio tredicenne per controllarlo (il ragazzino aveva accettato di lasciare il pin alla mamma, come condizione per ottenere il telefonino).

Quello che ha scoperto l’ha sconvolta. Non solo per i due video pedopornografici (uno omosessuale tra due bambini di dieci anni), ma anche per tutto il resto, a partire dal nome, “The shoah party”. Lì per lì è stata attirata, giudicandolo giustamente offensivo come nome. Dopo aver aperto la chat ha scoperto l’inferno. Violenza, soprusi, offese gravissime contro ebrei e malati. Frasi che inneggiavano a Hitler e alla Jihad. Una vera e propria escalation tra gli orrori. Ed ogni messaggio partiva con una bestemmia.

La mamma racconta che suo figlio è stato contattato da alcuni sconosciuti, via Whatsapp, e che ha accettato perché quei continui messaggi gli bloccavano il cellulare, impedendogli di poterlo usare per giocare. Tutto da verificare, ovviamente. Questa è la versione del ragazzino a sua madre. Che ha raccontato anche di aver aperto solo due video e di non aver mai chattato. Nel gruppo c’erano diversi ragazzi. Fra loro la mamma ha riconosciuto tre compagni di classe di suo figlio. Così ha avvertito le rispettive mamme. Ma la risposta di alcune è stata fredda, distaccata, del tipo “mio figlio certe cose non le fa”, quasi a voler negare l’esistenza dell’orrore.

Questa mamma di Siena ha fatto il suo dovere. Non solo controllando attentamente suo figlio, ma andando oltre, denunciando tutto alle forze dell’ordine. “Per fortuna la giustizia sta facendo il suo corso – dice al Tirreno – ma credo sia molto importante la questione socio-culturale, il rapporto genitori-figli”. Parole che sottoscriviamo in pieno.

Intanto le indagini vanno avanti. Insieme all’approfondimento dei profili penali, la Procura per i minori del Tribunale di Firenze, diretta dal procuratore capo Antonio Sangermano, aprirà un’inchiesta per valutare la idoneità dei contesti familiari, nell’ambito di un’indagine socio-familiare (come previsto dalla legge), visto che i ragazzi sono indagati per reati come la pedopornografia e l’istigazione al razzismo. Come testimoni saranno sentiti anche i genitori. Alla fine degli accertamenti sarà valutata la loro capacità nell’esercizio della potestà genitoriale nei confronti dei figli indagati e, in quel caso, potrebbe essere avviato un percorso con gli assistenti sociali.

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  1. Ma tutti questi ragazzini e anche bambini con i telefonini sempre in mano….inevitabile poi che succedono certe cose.

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