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Digitali asociali

- Cultura
16 Settembre 2019

Antonio Cassisa

Mi è sempre piaciuto osservare la gente e le cose che mi circondano e la cosa che più di ogni altra mi ha colpito e vedere come ogni giorno di più i “social” e, di conseguenza, smartphone e cellulari occupano le giornate di grandi e piccini. C’è una smania smisurata di far vedere a tutti la nostra vita, filtrata, vista e corretta, attraverso foto o frasi citate da autori di cui spesso non si è letto neanche un libro o di qualche improbabile personaggio spuntato dal web che di mestiere dice faccia l’influencer. Ora, tralasciando il significato del termine influencer che da solo basterebbe a spiegare la direzione in cui sta andando la società moderna, ciò che penso è che paradossalmente da quando i social hanno dato la possibilità a tutti (ma proprio tutti… anche al gatto) di esprimersi pubblicamente su qualsiasi cosa, indipendentemente dal fatto che si conosca o meno, quasi sempre si perde l’occasione che si ha per parlare di noi, delle cose che ci piacciono e dei temi che ci interessano per usare frasi non nostre, usando faccine, pollici alzati e cuoricini al posto di pensieri articolati. Il mondo social dà l’illusione di avvicinare e collegare persone estremamente differenti l’una con le altre, ma è solo un’illusione.

Perché sui social si creano inevitabilmente gruppetti di amicizie che alzano il pollice a comando indipendentemente dall’oggetto e che si sostengono a vicenda;

perché sui social anche la più timida, introversa o al limite vigliacca delle persone non contraddirà mai una persona virtualmente “amica”… almeno non in pubblico, mentre si scatenerà digitando frasi che dalla bocca non uscirebbero nemmeno in stato di ebbrezza se c’è da criticare pubblicamente, possibilmente insieme alla fazione alleata, l’avversario di turno;

perché sui social ciò che si posta, le foto delle fantastiche ferie, dei figli fenomenali, dei piatti favolosi, delle epiche imprese sportive di temerari cinquantenni o degli amorevolissimi gattini, viene fatto con l’intento di suscitare invidia, non per il piacere di condividere. Non ci credete? Riflettete a ciò che pensate quando postate una foto e a ciò che pensate invece quando guardate quella postata da un vostro “amico”…;

perché, ormai tutti lo dicono e nessuno ci riflette, è proprio vero che dietro la tastiera siedono i più grossi e coraggiosi leoni del mondo, i corteggiatori più audaci, le femmine più spregiudicate, gli sportivi più in forma, i cuochi più capaci e i cuori più grandi e amorevoli che ci siano … dietro la tastiera. La realtà poi ci consegna tutt’altre persone;

perché sui social tutti si sentono autorizzati a dire la propria, anche quando l’argomento in questione è cosa sconosciuta;

perché sui social non si è naturali e manca quello scambio di sguardi che smaschererebbe tutte le bugie dette o le realtà tralasciate;

perché i social sanno essere una vera e propria gogna, sanno emarginare e estraggono il peggio delle persone. Quel peggio che nella realtà, per paura o per pudore, si lascia dentro;

perché i social, appunto, azzerano paura e pudore.

Per questo ne sto fuori, per questo uso un blog che soddisfi il mio desiderio di esprimere il mio pensiero senza la necessità del “like”, del commentino a cazzo, acido o troppo complimentoso, o della gara a chi riscuote più letture. Una sorta di diario in cui IO, e chi veramente ha a cuore ciò che penso, possa ripercorrere nel tempo le tappe del mio pensiero senza lo strazio di dover leggere commenti quasi mai sinceri. Uno spazio in cui il commento non è richiesto e che nessuno quasi mai lascia per il semplice motivo che nessun altro lo legge. Commento che tuttavia è consentito lasciare perché estremamente gradito se portatore di idee o di pensieri pensati.

Come è possibile farsi un’idea dei tuoi interessi, delle tue ambizioni o debolezze se nel tuo profilo posti solo selfie infantili, frasi dette da altri o commenti sul caldo d’estate e freddo d’inverno?

Ho fatto parte del carrozzone social, ho provato a dialogare, argomentare e scherzare. Con molti sono riuscito ma nel tempo la maggioranza era un gregge da cui fuggire. La politica poi, cosa vomitevole nella realtà, è facilmente immaginabile cosa diventa nel web. Una cosa ignobile. L’invidia, l’arrivismo, la smania di apparire, la faziosità e l’ipocrisia imperante han fatto sì che da qualche anno osservo questo fenomeno, per nulla bello o incoraggiante, dall’esterno mantenendo un solo profilo Instagram continuando ad intenderlo solo come memoria fotografica della mia vita e delle cose che mi interessano, guardandomi bene dal leggere i commenti sotto certi profili che farebbero impallidire Charles Darwin costringendolo a rivedere la sua teoria sull’evoluzione della specie.

Perché se i Social abolissero la possibilità di commentare, farebbero un gran passo in avanti.

Tutti potrebbero esporre le proprie cose, idee, pensieri più o meno profondi o minchiate galattiche, belle opere o cagate pazzesche, bei piatti o troiai immangiabili senza sentirsi in dovere di criticare, giudicare, approvare o offendere.

Probabilmente il popolo del web scenderebbe in piazza per protestare contro la deriva fascista presa da Facebook che tappa la bocca alla gente ma sarebbe cosa necessaria.

Volete commentare tutto per forza ma pensateci bene perché dai vostri commenti traspare quel che vi frulla nella testa e spesso contrasta con il contenuto del vostro profilo.

Prossimamente voglio fare un gioco, certamente non una novità, ma una specie di elenco di cose che non sopporto per sfogarmi un po’ e poi di quelle che mi piacciono tanto per rifarmi la bocca.

Nel frattempo vi propongo questo video del poeta Gary Turk interpretato in italiano da Emanuele Mian. A me ha quasi commosso… guardatelo se non è per voi troppo lungo e vi toglie il tempo per fb…

Dal blog “I Penzieri der Cassisa

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