Lavora per una delle più importanti banche d’affari del mondo, nella sede di Milano. Matteo Buonomini è babbo di due bambini, Giulio (6 anni) e Alberto (4), avuti con sua moglie Giulia, avvocato, anche lei pisana. Executive director della Investment management division della banca, Matteo viaggia molto per lavoro, spostandosi nelle più importanti piazze finanziarie del mondo. Ma il ritorno a Pisa per lui è sempre una festa. Lì, infatti, ci sono gli affetti più cari e tanti bellissimi ricordi. Anche se a Milano vive bene…

Ci puoi spiegare in cosa consiste il tuo lavoro?
Mi occupo dello sviluppo commerciale di prodotti (fondi di investimento) della mia banca sul mercato italiano. I miei clienti, dunque, sono le banche.

Come sono le banche come clienti?
Nel segmento che conosco io molto efficienti e professionali.

Hai sempre fatto questo lavoro?
Prima, per dodici anni, mi sono occupato della gestione patrimoniale dei clienti, compravo azioni e obbligazioni. Poi ho cambiato lavoro e filosofia, da tecnico mi sono trasformato in commerciale.

Ti trovi bene in questa nuova realtà?
Ho accesso ad una conoscenza a 360 gradi di cosa accade sui mercati e posso interagire con le migliori menti che esistono al mondo a livello macroeconomico. Sono aspetti sicuramente molto stimolanti. Poi ho la possibilità di viaggiare molto. Ho conosciuto praticamente tutta l’Italia e girato tutto il mondo, spostandomi nelle più importanti piazze finanziarie: da Londra a New York fino a Singapore.

Com’è stato lo stacco rispetto al tipo di lavoro che facevi prima?
Come tecnico ero solo io davanti al mio pc. Adesso ho una rete di conoscenze molto importante. In questo tipo di lavoro, infatti, le relazioni sono fondamentali.

Da quanto tempo vivi a Milano?
Sono arrivato nel febbraio 2001. Prima ho fatto sei mesi a Bristol, per una full immersion in cui ho perfezionato l’inglese.

Come ti trovi?
Direi bene. All’inizio, appena arrivato, ho condiviso l’appartamento con altre persone. È stata fase della scoperta della città, degli aperitivi e dei locali. Poi ho avuto modo di approfondire la conoscenza a livello culturale, con i tantissimi teatri che si trovano a Milano e i cinema. Oggi vivo la città in una dimensione diversa, con i miei figli e la mia famiglia. Tre fasi diverse, tutte belle.

Qual è il primo ricordo che hai di Pisa?
L’asilo Frassi, il cortile e la gioia di giocare con gli altri bimbi, tutti insieme.

Dove abitavi?
In lungarno Mediceo.

E dove andavi a giocare?
Un posto fisso non c’era. A pallone in Piazza San Zeno. Si scavalcava e si andava a giocare nel giardino… ma è meglio non dirlo (sorride). Altre volte ci portavano a casa dei compagni di scuola. Ricordo che spesso sono stato nei boschi di Montemagno, sui Monti pisani, dove abitava un mio caro amico. Da ragazzino, invece,, spesso andavo in via Zamenhof. Dopo il liceo il mio ritrovo preferito era davanti alla Borsa. La cosa bella dei ritrovi è che nessuno si metteva d’accordo prima. Si usciva e ci si vedeva lì, altro che appuntamenti su Whatsapp…

Ogni quanto torni a Pisa?
D’estate tutti i weekend, nel resto dell’anno una volta al mese. Continuo ad essere legato alle amicizie pisane e anche i miei figli sono contenti quando andiamo.

Mi sapresti indicare un pregio dei pisani?
Sa vivere bene. Nel rapporto tra vita privata e lavorativa, in un contesto geografico che offre tanto, la qualità della vita direi che è alta. Il pisano sa sfruttare al meglio questi aspetti.

E un difetto?
Avendo una buona qualità della vita, forse non ha gli stimoli adeguati per valorizzarsi e valorizzare il proprio territorio. Prevale, dunque, una certa staticità. Il pisano sta bene e si siede un po’ troppo. Forse è proprio questo il motivo per cui la città è rimasta indietro sotto alcuni aspetti.

Tua moglie è pisana, tu sei pisano. Avete mai pensato di tornare a vivere nella vostra città? Pensi che vi trovereste bene dopo esservi abituati a Milano?
Tocchi un argomento molto caldo. Milano mi ha permesso di fare una bella carriera e di raggiungere, con soddisfazione, importanti obiettivi lavorativi. Pisa però è la mia città, e vi ho mantenuto affetti e amicizie. Dopo un’esperienza lunga e stimolante non mi dispiacerebbe terminare la mia carriera lavorativa a casa.

Come ultima domanda, un grande “classico”. Cosa ne pensi dei cosiddetti “cervelli in fuga dall’Italia”?
Io lo vedo come un fenomeno normale. Lavoro in una multinazionale e mi capita di incontrare tanti italiani sia a Londra che a New York. All’estero e nelle grandi società la meritocrazia continua a valere. Andare via dal proprio Paese è un fenomeno che continuerà ad esserci, è insito nel cambiamento della società. Un altro aspetto che io noto, però, è che l’Italia resta sempre nel cuore di tutti quelli che lavorano all’estero e, quasi sempre c’è l’obiettivo di rientrare, più che altro per la qualità della vita. All’estero, rispetto a noi, osservo anche un’altra differenza: l’azienda cerca di tirare fuori il meglio che hai, magari solo per proprio interesse, ma questo fa sì che investa su di te e ti faccia crescere a livello professionale e umano, molto più che da noi.

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