A portarlo all’estero è stata la voglia di cimentarsi con una realtà in cui la tutela dell’ambiente è al top. Così, dopo un anno di Erasmus a Helsinki, Marco Valentini ha capito che da quelle parti avevano davvero una marcia in più. Ora lavora per l’ECHA, l’Agenzia europea sulle sostanze chimiche, che ha sede proprio nella capitale finlandese. L‘ECHA rappresenta la forza motrice per l’attuazione della legislazione europee sulle sostanze chimiche, allo scopo di tutelare la salute umana e l’ambiente e di promuovere l’innovazione e la competitività. L’ECHA assiste le società affinché si conformino alla legislazione, promuove l’uso sicuro delle sostanze chimiche, fornisce informazioni sulle sostanze chimiche e si occupa delle sostanze che destano preoccupazione. Marco si trova benissimo in Finlandia. Anche se la sua città gli manca. E non c’è giorno che non si colleghi a Internet per controllare le ultime notizie sulla sua squadra del cuore, il Pisa.

Cosa fai nella vita?

Da circa tre anni e mezzo ricopro il ruolo di Team Leader nel Direttorato di Valutazione presso l’Agenzia Europea sui Prodotti Chimici (ECHA, European Chemicals Agency), responsabile per l’implementazione della regolamentazione europea su tali prodotti. Il mio background è quello di tossicologo ambientale, per cui oltre a fare il Team Leader il mio lavoro consiste anche nella valutazione delle informazioni relative alle proprietà tossicologiche che le sostanze chimiche hanno per l’ambiente in Europa. Lavoro ad ECHA da sei anni. Da un anno e mezzo, inoltre, ho cominciato a sviluppare la mia figura professionale nell’ambito del “life coaching”. Ho appena conseguito la mia seconda certificazione e sto cercando di fare pratica ed esplorare le possibilità di una nuova carriera in questo ambito. Anzi, se fra coloro che leggeranno l’articolo c’è qualcuno che è interessato a provare un paio di sessioni, può mettersi in contatto con me.

Quando e come hai iniziato il tuo lavoro?

Tutto è cominciato nel 2001, quando dopo 4 anni al Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente presso l’Università di Pisa, raggiunsi la saturazione a causa dei continui problemi organizzativi del corso stesso (attivato proprio quando avevo cominciato l’Università). A quel tempo sentivo già molto forte in me il desiderio di viaggiare e imparare le lingue straniere (ad oggi italiano, inglese, spagnolo, francese e finlandese). Per cui decisi di partire per 12 mesi di Erasmus a Helsinki, visto che ero venuto a conoscenza della qualità dell’Università di Helsinki in ambito ambientale. Durante il mio periodo di Erasmus ho potuto complementare la mia buona preparazione teorica ottenuta in Italia con un forte orientamento pratico degli studi in Finlandia (corsi di laboratorio, corsi sul campo ecc.). D’altronde, cos’altro può chiedere uno scienziato ambientale se non quello di avere un riscontro pratico di ciò che studia? Decisi per cui di chiudere la mia carriera universitaria a Pisa e di iscrivermi ufficialmente all’Università di Helsinki, dove nel 2006 ho conseguito il Master of Science (MSc) in Scienze Ecologiche ed Ambientali. Tornai poi a Pisa dove ebbi la possiblità di cominciare subito a lavorare presso uno studio di consulenza ambientale e laboratorio di analisi chimiche, ma dopo 6 mesi mi accettarono per un Master Europeo (in inglese) in Analisi e Valutazione di Rischio presso l’Università di Milano. Così, un po’ a causa del ‘trauma’ post-Erasmus, un po’ perché il lavoro che facevo non era prettamente nel mio campo di interesse, sono andato a Milano ed ho completato anche questo ulteriore titolo di studio.

E dopo il master a Milano?

Mi sono trasferito in Irlanda, dove per 4 anni ho lavorato presso l’Autorità per la Sicurezza e la Salute Irlandese (HSA). Il mio ruolo era quello di Ispettore di Sicurezza e Salute, ovviamente in ambito di prodotti chimici. Cominciai anche a diventare esperto in ambito regolatorio, essendo l’HSA l’autorità competente irlandese per la regolamentazione REACH, che è entrata in vigore nel Giugno del 2007. A Settembre 2011 ho poi vinto una posizione ad ECHA come Scientific Officer e mi sono quindi trasferito nuovamente in Finlandia.

Come ti trovi a Helsinki?

Il primo impatto con la Finlandia, così come con tutti i paesi nordici, è quello di paesi estremamente efficienti, funzionali al cittadino e fondati su servizi sociali molto forti e strutturati, soprattutto per studenti e famiglie. Anche l’ambito della ricerca e dell’innovazione è molto curato, con supporti incredibili per le startup. Ovviamente ci sono anche dei lati negativi.

Tipo?

Da italiano e, soprattutto, da pisano, diventa molto difficile ritrovare un posto all’estero che offra la combinazione “mari e monti” tipica della nostra città, ma anche di tutta la Toscana. Per cui, il cibo ed il tempo sono le cose più difficili alle quali abituarsi.

E dal punto di vista culturale?

La cultura è molto individualista ed i finlandesi sono fortemente pragmatici. Insomma, l’opposto degli italiani. Mentre in Italia uno sale sull’autobus e dopo due minuti può capitare di cominciare a fare due chiacchiere con qualcuno, in Finlandia l’autbous è un mezzo di trasporto pubblico che ti porta dal punto A al punto B e sul quale condividi spazio con altre persone. Non è concepito come luogo dove si possa socializzare.

Gli italiani come sono visti?

Oggi le cose sono diverse rispetto a 15-20 anni fa. L’avvento di internet e dei voli low-cost hanno abbassato di parecchio le barriere culturali ed i pregiudizi che c’erano in passato, permettendo al cittadino medio di informarsi e di visitare i paesi in maniera più agevole. Detto ciò, alcuni pregiudizi non credo passeranno mai di moda. Per cui, a volte gli italiani sono ancora visti come poco efficienti, ma soprattutto poco onesti. Con la Finlandia poi c’è un rapporto particolare, in negativo purtroppo. Si tratta della sventurata visita dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in Finlandia nel 2001, quando si rese protagonista di alcune uscite infelici riguardo al cibo finlandese. Non che fosse da biasimare a riguardo, ma le sue uscite spesso non hanno l’immagine dell’Italia nel mondo. Più in generale, quando qualcuno viene a sapere che sono italiano, la reazione è sempre e solo una: ‘Ma che diavolo ci fai qui?’.

Cosa ne pensi dei cosiddetti “cervelli italiani in fuga”?

Innanzitutto penso che esistano. E penso anche che di “cervelli” ce ne siano tanti che però non hanno la possibilità di andare a vivere all’estero. O più semplicemente non si sentono pronti a farlo. Perché, parliamoci chiaro, cambiare paese non è una cosa semplice e immediata; richiede anche molta determinazione e intraprendenza. Mi dispiace davvero dirlo, da italiano, ma il nostro paese non ha sistemi e strutture integrati e studiati per favorire la crescita di gente valida. Giusto per citare un esempio, penso al nostro sistema di tassazione per i liberi professionisti o le startup. Non siamo orientati nell’incoraggiare chi merita e ha qualità. Insomma, il sistema, così come la nostra tendenza culturale, non è di certo fondata sulla meritocrazia. Ciononostante, non chiamerei questo fenomeno una “fuga”.

Cosa vuoi dire?

Noi la chiamiamo così perché guardiamo solo agli italiani che se ne vanno, ma questi esistono in ogni nazione, anche in quelle che noi vediamo come all’avanguardia. Conosco molti finlandesi che completano parte (o tutti) i loro studi all’estero, nonostante l’Università qui sia prestigiosa. Il discorso è semmai cosa fa l’Italia per riportare in patria queste persone che hanno maturato esperienze (titoli e competenze) tramite queste esperienze. La verità è che queste persone sono spesso più complete e attraenti sul mercato di coloro che sono qui nei “piani alti”. Chi vorrebbe portarsi in casa qualcuno che può togliergli la poltrona portando un contributo superiore? Questa è solo la mia opinione, sia chiaro, ma dopo 16 anni all’estero credo di essermi formato un’idea chiara su questa cosa.

C’è una cosa di Pisa che ti porteresti a Helsinki?

Questa è facile: cecina e spuma. Ovvio che ci sono molte altre cose, ma la cecina è la cecina. Ogni volta che scendo a Pisa devo correre a farmene 1-2 etti, non importa che sia Agosto e ci siano 40 gradi.

Mi diresti un pregio dei pisani?

Indubbiamente la testardaggine. Ne sono sempre più convinto. La nostra capacità di non mollare mai (‘Pisa non si piega’) è ammirevole ed un grosso pregio in un mondo superficiale ed insicuro.

E un difetto?

Allo stesso tempo ritengo che la nostra testardaggine sia anche il limite che spesso ci porta ad essere troppo resistenti ai cambiamenti e alle novità. E al giorno d’oggi, quello che si è scoperto oggi è gia’ vecchio.

Come te la cavi in cucina?

Avendo lasciato l’Italia e “la cucina di mamma” all’età di 21 anni per trasferirmi in Finladia, le cose erano due: o finivo a mangiare nei fast-food, o cominciavo a cucinare seriamente. Ho scelto la seconda, anche perché sin da piccolo ho sempre aiutato in casa e fatto le mie cose. La cucina mi è sempre piaciuta e devo dire di essere un buon cuoco (parola di connazionali residenti all’estero!).

Il tuo piatto preferito?

Qui si fa dura… Se parliamo di mare, lo spaghetto allo scoglio. Se parliamo di montagna, non c’è niente come una bella bistecca alla brace con un buon Chianti rosso!

Sei tifoso del Pisa?

Sì, e quando scendo a casa faccio in modo di beccare una partita in casa per poter andare allo stadio. Seguo le notizie sulla squadra quotidianamente dai siti internet dedicati.

Ricordi la prima volta all’Arena Garibaldi?

Pisa -Ascoli nel 1988. Finì 1-1. Ho un ricordo però molto vago di quel giorno, a parte l’emozione dello stadio stracolmo. Ero piccolo e nella mia famiglia non c’era molto la cultura dello stadio. Ricordo che mi veniva detto che “era pericoloso”. In effetti proprio la mia prima volta, in Gradinata, mio padre si beccò una monetina in testa lanciata dal settore ospiti.

Il giocatore del Pisa che ti è rimasto nel cuore?

Del Pisa di quei tempi, senza dubbio Dunga e Kieft. Di più recente la risposta credo sia ovvia: il gol di Umbertone Eusepi l’anno scorso a Foggia.

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